mercoledì 16 novembre 2011

Secolare Vergogna

"Nobilissimo, illustrissimo, eccellentissimo, virtuosissimo, onestissimo, colendissimo."  Tale era il signore e padrone al quale si rivolgeva lo scrittore che si autodefiniva "servo umilissimo, obbedientissimo, devotissimo, affezionatissimo, ossequiosissimo."
C'è da arrossire di secolare vergogna retrospettiva pensando a quante opere del genio umano sono dedicate con tanta umiltà e piaggeria a più o meno illustri imbecilli che avevano il solo merito di possedere i mezzi per mantenere i loro buffoni e, insieme a questi, i loro scrittori e poeti.

giovedì 10 novembre 2011

Il pazzo volontario



Il Principe Zarlino è uno degli uomini più ricchi del regno e avrebbe potuto essere il re. Ha un cervello appositamente costruito per la pazzia,è pazzo per essere pazzo. Spende tutte le sue ricchezze in questo manicomio dove abita,e qui  ha al suo comando venticinque uomini  che lo assecondano nelle sue pazzie. Ma eccolo parlare :  Io potevo essere il re ma sentivo che dopo due giorni  io sarei stato quel re che voleva essere tutto tranne che il re. Io vivo la mia vita dentro questo manicomio in cui posso essere tutto ciò che voglio essere, a seconda del giorno. Dicono che sono pazzo… benissimo!Badate però che non sono pazzo come vogliono gli altri, ma come voglio io! Il pazzo non annuncia mai quello che fa, io invece annuncio sempre tutto… dico  per esempio  che emetterò ottantotto grida altissime e tutti si preparano rassegnatamente al mio esercizio polmonare!  Una volta a settimana divento papa; fuori dal manicomio questa operazione mi era quasi impossibile, qui invece tutti si inchinano davanti a me quando mi vedono. Poi mi spoglio nudo davanti a tutti  e divento re, poi fabbro, ragno, tavola,sole, luna e tutto quello che mi fa piacere. Una notte io fui stella cadente ,su su nel cielo e poi giù giù…Ora ditemi, potrei io essere tutte queste cose in mezzo alla gente normale??!  Se mi vedessero mi prenderebbero,mi legherebbero  e mi porterebbero dentro il manicomio come un matto!”

mercoledì 9 novembre 2011

Un signore completamente ubriaco


Il signore vestito di un completo blu un poco sgualcito, che in questo momento attraversa la strada male illuminata, e un poco barcolla, è in realtà completamente ubriaco, e il suo progetto è semplicemente di arrivare a casa.
Non è singolare che egli sia ubriaco, sebbene in generale regga decorosamente il vino; è singolare il tipo di ubriacatura di cui soffre. In genere egli diventa litigioso, ostinato, capzioso e suscettibile; insulta tranquille signore, e guarda i vigili urbani con una tal quale, timida tracotanza. Ingiuria i cavalli e fa insinuazioni sui cani. In genere, in quei momenti egli è persuaso di vivere in una società infima, che merita di essere spregiata e irrisa.
Questa sera, per quella legge iniziatica che guida non di rado una serie di ubriacature, egli è giunto a concepire se medesimo come parte di quel mondo degno di disprezzo. Egli è responsabile, e nella sua mente caoticamente illuminata si urtano il peccato originale, la lotta di classe e il Tibet.
Farebbe in tempo a vivere una nuova vita? Che esempio dà ai figli, tornando a casa ubriaco a quel modo? E merita  la sua povera moglie un marito talmente deteriore? “Deteriore” gli piace, e gli pare una buona definizione; si addice a un uomo prossimo a redimersi. Egli camminerà nella notte finché l’ubriacatura più ripugnante sarà stata consumata, poi andrà a parlare con la moglie che egli stima e ha cara; non è di quegli uomini che hanno in uggia le mogli solo perché le vedono tutti i giorni.
In quel momento il frastuono di un tram che lo sorpassa gli rammenta qualcosa. Che cosa? Si concentra. Mio dio, ha ucciso sua moglie appunto quel pomeriggio, dandole sul cranio con una spranga di ferro! Urla, ha un gesto di orrore, mette le mani sulle orecchie. Ride. Lui è furbo. Non andrà a casa. O costituirsi o farsi frate.
L’aria notturna lo investe improvvisa. Si rammenta di non avere alcuna moglie. A che serve avere buoni propositi se non si ha una moglie? E come si fa a uccidere una moglie simile? Fermo, per quel che gli è possibile, cerca di capire come mai non abbia moglie. L’hanno tutti. Chi è lui, un cane? Perché sua moglie è riuscita a non farsi sposare? O è lui che non l’ha sposata? Il giorno prima delle nozze è fuggita con un prete eretico. Ma non è lui quel prete? Quella donna è fuggita con lui? O con un altro? Chi è fuggito? “Che puttana”, dice, e cerca la chiave in tasca, lacrimando, con una smorfia di disprezzo.

Tratto da "Centuria" di Giorgio Manganelli








"Mezzolitro" di Leandro Giori

Il serpente

Racconta Eliano (Nat.anim., VI, 17)  che in Palestina al tempo di re Erode, cioè tra il 37 e il 4 avanti Cristo, un serpente enorme della razza dei boa o dell’anaconda, si era innamorato di una ragazza. E aveva tanto insistito nel corteggiamento e nella mitezza che la ragazza, anche se un po’ spaventata, aveva dovuto accettare di riceverlo in camera. Per cui la notte il serpente entrava e mentre lei dormiva saliva sul letto e le strisciava su tutto il corpo, lentamente e con grande delicatezza. Alla ragazza non dispiaceva , ma non poteva esserne innamorata perché avrebbe voluto un amante anche con le gambe e con le braccia.
Poi il serpente le dormiva accanto senza dire niente, invece lei avrebbe voluto star sveglia a parlare, che lui le raccontasse di sé , chi era veramente, che cosa aveva fatto in passato, quali altre ragazze aveva avuto, com’erano, se aveva amato qualcuna più di lei e quanto, o se lei era la sola; e anche lei avrebbe voluto parlare, star tutta la notte a parlare, fargli le sue confidenze, che cosa le piace e che cosa no, dove vorrebbe in futuro andare a vivere, che casa vorrebbe, i mobili che ci metterebbe, le tende eccetera; e poi i viaggi, dove sarebbero andati, se a lui sarebbe piaciuto viaggiare, che mestiere avrebbe fatto e se gli sarebbe piaciuto ad esempio fare il diplomatico, e se a un serpente la carriera del diplomatico è consentita, e come sarebbero stati i loro figli, quanto avrebbero preso dal padre, e se nella loro vita poi sarebbero stati discriminati, o se essendo figli di un diplomatico avrebbero avuto la vita più facile, se li avrebbero presi a un liceo internazionale anche se fossero stati prevalentemente serpenti, perché secondo lei i maschi avrebbero somigliato di più al padre, cioè sui dieci metri e con molta forza, mentre le femmine sarebbero state chiare di capelli come lei, più tenerine e più umane nel corpo e in faccia ma  con la lingua forcuta e l’ esse sibilante come il papà. Tutta notte avrebbe voluto parlare di queste cose e perdersi in immaginazioni, perché se lo immaginava così l’amore, un misto di parole e sogni, a cui anche lui, il serpente, avrebbe dovuto contribuire.
Ma da questo punto di vista il loro rapporto era un po’ freddo, sia perché i serpenti non hanno la parola, sia perché questo serpente, anche se l’avesse avuta, non sarebbe stato incline a parlare. Aveva un’ altra idea dell’amore: la parola secondo lui guastava tutto. Quando si è innamorati è bello invece strisciare sul corpo dell’innamorata incominciando dai piedi, e poi insinuarsi senza nessun rumore, come nell’acqua, e aderire quanto più completamente possibile, cosa che a lui per conformazione riesce bene, e fare come se invece di due fossero uno, e questo è già un primo passo d’intesa importante. Poi l’espressione successiva più alta d’amore è tacere, stare lì in estasi avviluppati uno all’altra, ognuno immerso nei suoi pensieri, che abbracciano la vita intera, soprattutto il passato, anche quello lontano, che ritorna a pezzetti, i quali prendono un senso che porta lì, alla notte presente, ognuno per una strada diversa è arrivato lì, e viene da piangere, un po’ si piange se si è innamorati, ma se si parlasse, o anche solo si sibilasse, tutto andrebbe perso, perché si tornerebbe a essere due e non più un solo inestricabile nodo.
Ma la ragazza, da questo silenzio e dalle spire che la avvolgevano stretta, un po’ era spaventata e un po’ insoddisfatta; così se ne è scappata via per un mese pensando che lui l’avrebbe dimenticata. Invece il serpente tornava ogni notte e si disperava sul letto deserto, non si dava pace ed era sempre più innamorato. Alla fine del mese, quando la ragazza è ritornata, lui l’ha avvolta stretta, che significava quanto l’amava, e con la coda le dava dei leggeri colpi alle caviglie e ai piedi, come se con dolcezza la rimproverasse, e questo significava quanto l’aveva fatto soffrire e che non doveva andar via mai più. Non c’era bisogno di parlare o sibilare per dirlo, anzi in questo modo tutto era evidente, e tutto era già superato, cosa che non succede se si discute. Eliano in fondo dà ragione al serpente.

martedì 8 novembre 2011

Il Professore da Bar

Il Professor Piscopo è un signore distinto con una bella barba sale e pepe e i baffetti aglio oglio e peperoncino che racconta con la stessa enfasi il suicidio di Seneca o l'atterramento simulato di Inzaghi in area di rigore.
Le sue divagazioni sulla natura dell'animo umano e sul significato dell'esistenza vengono ascoltate con grande attenzione, ma più che come esperto di filosofia il professore è molto quotato come esperto di posteriori femminili. Infatti quando nel bar entra una signora ben messa e si accendono le discussioni intorno alle sue parti intime, subito qualcuno tronca e dice: "Adesso chiediamo al professore."  Il professore viene messo in una sedia in direzione dell'obiettivo, inforca gli occhiali, esamina attentamente e intanto borbotta:  "Vediamo, vediamo."  Alla fine alza la testa e dichiara ad alta voce: "Carnoso, equilibrato, ben composto.Sei e mezzo!"  oppure  "Michelangiolesco, ridondante, di grande effetto plastico. Sette e mezzo!" oppure "Scarniccio, nervoso, ma non privo di grazia. Sei meno meno!"  E tutti annuiscono ammirati.
Il professore è gentile e cortese, ma c'è una cosa che lo fa andare in bestia: gli errori di italiano. Se ad esempio qualcuno gli dice: "Posso offrirci un caffè?" risponde secco "Studi la grammatica e torni a offrirmelo a ottobre!"  Una volta rimase chiuso in ascensore per tre ore con Ciccio, il fattorino del bar, che continuava a dirgli:  "Chissà se qualcuno venghi a prenderci? E se provassimo che urlassimo?"  Quando li tirarono fuori, il professore era in preda a una grave crisi isterica, e dovette stare a letto due settimane a semolino e libri di Pirandello.

Sogno di Sirena




Vinicio Capossela, Pryntyl

“Quel sogno è un vecchio sogno che torna sempre: una femminota sirena che risale a galla dentro di lui dalle profondità alla superficie del suo maricello di pensieri. Un tipo di sirena che è il suo tipo, che si può vedere e toccare con mano, che non porta strascico e impedimento di coda, decoltata di natura,minnuta, anzi minnutona coi galleggianti bianchi e gonfi che sanno del colore e del sapore del latte e che fanno intenerire l’uomo. Il tipo, per parlare chiaro, che il suo nicchiarello non lo tiene corazzato come  alcune femminote monache di clausura alle quali pare che glielo murano con uno spicchio di mattone e malta. Il tipo insomma che si può scandagliare tra le cosce, calandoci la sonda, col quale uno si può allianare gustando la rarità del fottisterio, senza però raccontarlo poi a nessuno ma gustandoselo solo tra sé e sé nelle sue fattezze di faccia infantina e bambinesca. Il tipo che ha viso smorfiosamente umano, indole sgualdrinesca e sdiregnatrice, che fa strage di uomini,se li spolpa vivi vivi, li riduce all’osso: stragi che nemmeno le femmine che hanno gambe da cavallone perché quella sirena, se non la favorisce le gambe che ha, la favorisce la bellezza del suo viso e dei suoi occhi, e quello che più conta,la favorisce  il genio della sua mente  perché quanto si cammina con la mente in un momento, non si cammina con le gambe per tutta la vita. Ora, diciamolo francamente, a queste profferte e infrinzamenti chi può resistere?!  E’ pensabile che lui si metta la cera negli orecchi?! No, lui annorba dalla gran voglia e vira verso quella gran bella femminota che si sciacquetta desiderosa solo di saziare il maschio affamato. Bisogna giocarci con questo tipo di sirene, ispirare una gran simpatia e un gran trasporto, è tutta una storia di parole fresche,fresche come lei: lei uguale e diversa sempre, come il mare.”

Stefano D'Arrigo, Horcynus Orca