mercoledì 11 aprile 2012

"Il mio unico amico" di Maurizio Salabelle

RECENSIONE

Il mio unico amico di Maurizio Salabelle  (l’alcolizzato da vocabolario)

“Per stupire mezzora basta un libro di storia, io cercai di imparare la Treccani a memoria, e dopo maiale, Majakowsky, malfatto, continuarono gli altri fino a leggermi matto.”  Fabrizio De Andrè, Un matto





Nel 1994 la casa editrice Bollati Boringhieri pubblica il secondo romanzo di Maurizio Salabelle, Il mio unico amico[1]. Il protagonista della storia è uno stralunato padre di famiglia che considera come suo unico amico un vecchio e pesantissimo vocabolario che si porta appresso dappertutto, sotto l’ascella, come parte integrante di sé, del suo equilibrio interiore e addirittura fisico. Anche a pranzo e a cena egli posa il suo ingombrante dizionario, occupante un enorme spazio, sul tavolo e, ogni volta che i suoi familiari pronunciano parole particolari, lo consulta aiutandosi con la forchetta sporca di cibo e leggendone avido le definizioni come se si trattasse di contorni da degustare. Questa insolita mania di ricercare le parole nel vocabolario costituisce l’unica ragione della sua vita e assume i connotati di un vero e proprio caso clinico. Infatti,  gli impedisce di trovare un lavoro stabile, lo fa litigare con la gente  e  lo espone continuamente a delle disavventure, come quella di essere  cacciato dai cinema e addirittura di venire arrestato dalla polizia. La vicenda del romanzo ricorda una meraviglioso brano musicale di Fabrizio De Andrè, Un matto, tratto dall’album  Non al denaro, né all’amore, né al cielo, pubblicato nel 1971 e ispirato al capolavoro di Edgar Lee Master, l’ Antologia di Spoon River[2]. Il testo musicale è incentrato sulla figura di uno strambo individuo che fa fatica a farsi capire dalla gente e, nel voler esprimere i propri sentimenti e le proprie sensazioni con le parole giuste, tenta l’impossibile impresa di imparare un’intera enciclopedia a memoria. Ma la gente gli ride in faccia considerandolo lo scemo del villaggio. E così il “matto” viene rinchiuso in un manicomio dove lentamente si consuma senza poter più vedere la luce del sole.

Tratto da "IL SORRIDENTE E TRAGICOMICO MONDO DEI MATTI- La follia come fonte di comicità nella narrativa italiana dal secondo Novecento fino ai giorni nostri" di Marco Adornetto







[1] Maurizio Salabelle, Il mio unico amico, Bollati Boringhieri Editore, Torino 1994
[2]  Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, Einaudi, Torino 1943