venerdì 15 febbraio 2013

Inchiostro Alcolico: Le città invisibili di Italo Calvino


L’AUTORE IN BREVE

Italo Calvino è uno dei massimi scrittori italiani del Novecento. Nasce a Cuba nel 1923 ma proviene da una famiglia di origini sanremesi. Quando ha ancora due anni ritorna in Italia con  i suoi; il luogo di nascita costituirà quindi solo un dato anagrafico, tanto che egli si dirà sempre italiano, e precisamente ligure. Oltre ad aver scritto racconti e romanzi, è stato traduttore, consulente editoriale presso Einaudi, e ha collaborato per diversi quotidiani tra cui L’Unità, Il Corriere della sera e La Repubblica. Tra le sue opere più importanti spiccano Il sentiero dei nidi di ragno (1947), Ultimo viene il corvo (1949), Il visconte dimezzato (1952), Fiabe italiane (1956), Il barone rampante (1957), Il cavaliere inesistente (1959), Marcovaldo (1963), Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) e Palomar (1983).


IL LIBRO

Le città invisibili è uno di quei classici che resiste al tempo, riscuotendo ancora oggi un’enorme fortuna. Si tratta di un’opera onirica, spiazzante e non catalogabile: sono cinquantacinque le città invisibili, costruite da Italo Calvino con la leggerezza di un architetto strampalato. Il libro è nato a poco a poco, una città ogni tanto, a seconda dell’estro e dall’ispirazione giornaliera dell’autore che tra il 1964 e il 1970, durante il suo soggiorno parigino, mise su carta impressioni,visioni e annotazioni. Lo scrittore ligure pensò di integrare e intervallare questi ritratti di città immaginarie con un dialogo tra due personaggi molto particolari: Kublai Khan, imperatore dei Tartari e potente che tutto possiede, e Marco Polo, il più grande viaggiatore della letteratura che possiede soltanto la proprietà del racconto. Il mercante veneziano, nel raccontare all’imperatore le sue “città mentali”, si esprime sì attraverso le parole, ma riesce a farlo anche solo con gesti, salti, grida di meraviglia e di orrore, latrati di animali, o oggetti (tamburi,pesci salati, conchiglie, ventagli, noci di cocco, piume di struzzo) che estrae dalle sue bisacce e dispone come pezzi degli scacchi, improvvisando in base a essi straordinarie pantomime, che il sovrano interpreta a proprio piacimento, girando con la mente e con l’immaginazione intorno al racconto di Marco. Nei viaggi mentali dell’uno e nell’ascolto e nelle domande insistenti e quasi ossessive dell’altro tutte le miniature di città trovano così il loro posto e il loro senso, facendo de Le città invisibili uno dei capolavori della letteratura italiana del Novecento. Nel libro non si trovano città riconoscibili, sono tutte città inventate, chiamate da Calvino ognuna con un nome di donna: c’è Isidora con il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; Bauci, città che si trova sulle nuvole; Eufemia, in cui gli abitanti si scambiano racconti; Cloe, in cui gli sconosciuti si scambiano sguardi lussuriosi; Zemrude, città che dipende dall’umore di chi la guarda; Adelma, in cui si possono rivedere i parenti e gli amici morti. E poi ancora tanti altri piccoli gioielli di “città leggere”, edificate da Calvino per mezzo di una felice fantasia onirica e visionaria che suscita continue ed emozionanti sorprese nel lettore. Lo scrittore ligure però nel suo libro non ha voluto soltanto evocare un’idea atemporale di città, ma anche una discussione sulla città moderna. Le città invisibili si configurano infatti come un ultimo poema d’amore alle città nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle a pieni polmoni, a causa di enormi problemi come la distruzione dell’ambiente naturale e l’inquinamento. Nel libro si polemizza contro la trasformazione recente delle città di provincia in metropoli ad alto tasso di tecnologia e d’inquinamento che danneggiano in modo irreversibile il paesaggio e l’ambiente. Per Calvino la città ideale sembra essere molto lontana dalle odierne metropoli "futuristiche", lanciate in un estenuante cambiamento verso il nuovo, che non hanno alcun riguardo nei confronti dell’ambiente e della natura; solo una città che consenta ai suoi abitanti di vivere compiutamente in perfetta sintonia con la natura, rispettandola e godendone i frutti, può essere ritenuta una città vivibile. Così Calvino, nell’intento di evocare città migliori di quelle odierne, si affida alla sua immaginazione sfavillante e alla sua scrittura cristallina, leggera e giocosa, tramutando le città invivibili di oggi in quelle surreali del libro, città migliori che in qualche momento raggiungono la perfezione.


Un Inchiostro Sanremese cristallino, leggero e giocoso

Fuori s’estende la terra vuota fino all’orizzonte, s’apre il cielo dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il vento danno alle nuvole l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante…”

“Le descrizioni di città visitate da Marco Polo avevano questa dote:che ci si poteva girare in mezzo col pensiero,perdercisi,fermarsi a prendere il fresco, o scappare via di corsa.”

“Nel più remoto gabinetto dei papiri, in una nuvola di fumo, mi apparvero gli occhi inebetiti d’un adolescente sdraiato su una stuoia, che non staccava le labbra da una pipa d’oppio.”

“A Ipazia devi entrare nelle scuderie e nei maneggi per vedere le belle donne che montano in sella con le cosce nude e i gambali sui polpacci, e appena s’avvicina un giovane straniero lo rovesciano su mucchi di fieno o di segatura e lo prendono con i saldi capezzoli.”

“È l’umore di chi la guarda che dà alla città di Zemrude la sua forma. Se ci passi fischiettando, a naso librato dietro al fischio, la conoscerai di sotto in su: davanzali, tende che sventolano,zampilli. Se ci cammini col mento sul petto, con le unghie ficcate nelle palme, i tuoi sguardi s’impiglieranno raso terra, nei rigagnoli, i tombini, le resche di pesce, la cartaccia.”

“D’abitudine il Gran Kan terminava le sue sere assaporando a occhi socchiusi questi racconti finché il suo primo sbadiglio non dava il segnale al corteo dei paggi d’accendere le fiaccole per guidare il Sovrano al Padiglione dell’Augusto Sonno. Ma stavolta Kublai non sembrava disposto a cedere alla stanchezza.- Dimmi ancora un città, - insisteva.”

“È difficile fissare sulla carta le vie delle rondini, che tagliano l’aria sopra i tetti, calano lungo parabole invisibili ad ali ferme, scartano per inghiottire una zanzare, risalgono a spirale rasente un pinnacolo, sovrastano da ogni punto dei loro sentieri d’aria tutti i punti della città.”

“Si arriva a un momento nella vita in cui tra la gente che si è conosciuta i morti sono più dei vivi. E la mente si rifiuta d’accettare altre fisionomie, altre espressioni: su tutte le facce nuove che incontra, imprime i vecchi calchi, per ognuna trova la maschera che s’adatta di più.”

A Raissa, a ogni momento c'è un bambino che da una finestra ride a un cane che è saltato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall'alto dell'impalcatura ha esclamato: -Gioia mia, lasciami intingere!- a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragù sotto la pergola, contenta di servirlo all'ombrellaio che festeggia un buon affare, un parasole di pizzo bianco comprato da una gran dama per pavoneggiarsi alle corse, innamorata di un ufficiale che le ha sorriso nel saltare l'ultima siepe, felice lui ma più felice ancora il cavallo che volava sugli ostacoli vedendo volare in cielo un francolino, felice uccello liberato dalla gabbia da un pittore felice d'averlo dipinto piuma per piuma picchiettato di rosso e di giallo nella miniatura di quella pagina del libro in cui il filosofo dice: -Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide figure cosicché in ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa d'esistere."

“L’Inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”


Com'è bella la città di Giorgio Gaber