lunedì 9 luglio 2012

Coglioni




COGLIONI  1


Si dice bene i coglioni, ma loro,
io ne conosco più d’uno,
si credono d’essere,
non lo sanno che sono dei coglioni, e si sposano, hanno figli, e i figli sono figli di coglioni,
che io non dico mica,
il babbo è il babbo,
tu non abbia da voler bene al tuo babbo, portargli rispetto,
però questi figli, non lo so, io, non se n’accorgono?
quando parlano con il loro babbo, non lo vedono, non lo sentono?
o sono coglioni anche loro?
che lì allora è fatica, fra coglioni –
ecco, sì, no, c’è delle volte che gli scappa detto: il mio babbo è un coglione
ma in un altro senso, nel senso che è buono, che è un galantuomo…
Che questo però è un discorso,
come sarebbe allora?
i galantuomini sono dei poveri coglioni?
Intendiamoci, può essere che un coglione sia un galantuomo, può essere che sia buono,
ma può essere anche cattivo,
ci sono i buoni e i cattivi anche tra i coglioni,
coglione vuol mica dire,
uno è un coglione, ma può andare vestito bene, portare gli occhiali,
può essere anche, guarda io quello che ti dico,
può essere anche intelligente, e nello stesso tempo coglione, che è un caso eccezionale, ma succede,
essere coglione è una cosa,
può essere tutto un coglione, può essere anche istruito, può essere perfino laureato…
certo che se è ignorante, i coglioni ignoranti, quelli sono una disgrazia, non si ragiona, è come parlare al muro,
e prepotenti –
che uno, io capisco,
quando dico che un coglione può essere tutto,
uno può rimanere disorientato,
gli viene da dire: allora, se uno è un coglione, in cosa si distingue?
insomma, cosa vuol dire essere un coglione? cos’è la coglionaggine?
Eh, questa è una domanda, è fatica,
come si può dire? fammi pensare, non c’è un esempio?
Ecco, i coglioni fanno le cose alla rovescia, e tu li vedi che sbagliano, tu lo sai come andrebbero fatte,
provi a dirglielo, anche con le buone maniere, ma loro niente, tirano dritto,
tu cerchi di dargli una mano, di metterli sulla buona strada, loro ti guardano con un’aria: "adesso cosa vuole questa testa di cazzo?"
E allora va a finire che t’arrabbi:
“Sono dei coglioni!” ti sfoghi in piazza, e in piazza c’è anche qualcuno che ti ascolta:
“Hai ragione, sono coglioni, però…”
“Però?…”
“Cosa si può fare? Sono tanti, comandano loro”.



COGLIONI 2

Dunque, no, fammi capire, i coglioni
tu vedi che sbagliano, gli vorresti dare una mano, metterli sulla buona strada,
ma siccome sono coglioni non ti stanno a sentire,
e tu ti arrabbi,
ho capito bene?
solo che, secondo me,
che sbaglierò, però, da quello che vedo,
non ti stanno a sentire perché la buona strada
ce n’è tanti che l’hanno già trovata,
sono pieni di soldi, case, macchine, tutto,
che noi, io e te, sono cose che non le abbiamo,
e magari neanche le vogliamo,
però loro le hanno, e se le tengono,
e io, capisco anch’io quello che vuoi dire,
loro danno valore a cose che non ce l’hanno, seguono le mode,
che noi, se avessimo noi i loro soldi…
solo che non li abbiamo,
non abbiamo una lira,
e io,
adesso non arrabbiarti anche con me,
ma delle volte,
non sarà,
mi viene da pensare,
che i coglioni siamo noi?
siamo io e te?


Raffaello Baldini 



Lettura delle poesie di Raffaello Baldini


IL MONDO DELLA FANTASTICAZIONE DI GIANNI CELATI


           IL MONDO DELLA FANTASTICAZIONE DI GIANNI CELATI





“Io ho sempre scritto per passarmi un po’ di tempo. E questo fatto di passare un po’ il tempo è la cosa migliore dello scrivere. Quando non so cosa fare io scrivo,e sono contento.” Gianni Celati

“Il bello dello scrivere è che non sai dove stai andando e non sai dove andrai a finire. Quando viene fuori una storia è come quando sogniamo. Scrivere è come un vento che ti porta via.” Gianni Celati

Gianni Celati, nato a Sondrio nel 1937, oltre a essere uno dei maggiori narratori italiani viventi,  è traduttore,  critico e saggista atipico, e documentarista. Si tratta di uno scrittore vagabondo e malinconico dallo stile inconfondibile che non ha mai smesso di scrivere e spostarsi. Nell’attuale panorama letterario egli ha sempre mantenuto una posizione defilata, e non ha mai voluto adeguarsi ai diktat dell’industria culturale e del successo di massa a tutti i costi. Celati ha infatti sviluppato l’idea di una letteratura non industriale, non legata alle mode del momento. 
I suoi scritti sono caratterizzati da un’evidente spontaneità e immediatezza, in cui  l’elemento comico fa da sfondo a un’osservazione disincantata e senza preconcetti del mondo e dei fenomeni della vita. Il risultato dell’incontro di queste due idee è la semplicità. Non è un caso, del resto, che tra il 1995 e il 1997, insieme ad altri scrittori, tra cui Ermanno Cavazzoni, Daniele Benati e Ugo Cornia, Celati abbia dato vita a una rivista intitolata Il Semplice[1]. Secondo Celati e il gruppo di scrittori de  Il Semplice, quando si scrive bisogna anzitutto essere semplici, perché è solo con la semplicità che ci si avvicina al nucleo più profondo e misterioso della vita. Scrivere “semplice” non è facile, perché richiede un atteggiamento particolare nei confronti della scrittura e del mondo. Bisogna partire dal presupposto che il mondo esterno è indifferente ai nostri pensieri, e chiede semplicemente di venire descritto, raccontato, evocato, ma non di essere capito[2].
Secondo Celati narrare significa disperdersi, far divagare la propria mente, allontanarsi dagli schematismi e dalle convenzioni, come quando si guardano le nuvole in cielo cercando di indovinarne la forma mutevole.  In tal modo la narrazione trasporta  il lettore in un altro mondo, sottraendolo al peso della realtà. Il neologismo da lui coniato, “fantasticazione”, corrisponde al termine inglese revery, con cui si definisce l’atto del fantasticare. Questa parola rimanda all’idea di una totale distensione e rilassamento del corpo nell’atto della scrittura, che si compie in uno stato di dormiveglia, come se si scrivesse sotto l’impulso di alcuni sogni. Si genera così l’ideale di una scrittura concepita in uno stato che si avvicina alla trance e al sogno[3]. Quello di Celati è un narrare visionario, un raccontare non per spiegare ma per provare a far emergere la vaghezza, rendendo i lettori perplessi e stupefatti davanti allo spettacolo del mondo. Tutta la sua prosa è disseminata di improvvise soluzioni linguistiche che spiazzano chi legge e concorrono a far scivolare la scrittura sul terreno del vago, della suggestione allusiva e indefinita. Il lessico celatiano, infatti, più che indicare con precisione, allude: la parola non si propone di descrivere la realtà in maniera esatta, quanto di accendere l’immaginazione.
Celati è alla costante ricerca di un linguaggio sottratto ai precetti dell’italiano letterario, che riveli un gusto per il parlato e il gergo, con uno sguardo privilegiato alla comicità dei mimi ,dei buffoni e dei folli. La figura del matto, soprattutto nelle sue prime prove letterarie, è una costante del suo universo immaginativo. Le storie di Celati, infatti, sono popolate da personaggi strambi e lunatici, goffi e assurdi, tipici della linea ariostesca emiliana[4].

Tratto da "IL SORRIDENTE E TRAGICOMICO MONDO DEI MATTI- La follia come fonte di comicità nella narrativa italiana dal secondo Novecento fino ai giorni nostri" di Marco Adornetto




















[1] Il Semplice. Almanacco delle Prose,Feltrinelli Editore, Milano 1995-1997
[2] Mattia Mantovani, Gianni Celati,elogio della semplicità, in  La Provincia, 20 Gennaio 2002
[3] Nunzia Palmieri, Gianni Celati. Due o tre cose che so di lui, in Gianni Celati, a cura di Marco Belpoliti e Marco Sironi,  in Riga 28, 2008
[4] La corrente ariostesca è geograficamente attestata in Emilia e include diversi scrittori, tra cui Delfini, Zavattini, D’Arzo, Cavazzoni e Benati. Questa corrente lambisce anche il cinema: di essa fa parte uno dei più grandi registi cinematografici, Federico Fellini. Gli ariosteschi prediligono gli strambi e i lunatici, personaggi che perseguono un proprio ideale o anche soltanto una propria fissazione mentre la vita gli scorre intorno