mercoledì 30 maggio 2012

SCHIENA A TERRA E SGUARDO AL CIELO


SCHIENA A TERRA E SGUARDO AL CIELO




C’è un bellissimo articolo del bravo giornalista e scrittore Vincenzo Cerami che tratta di artisti-bambini, e che mi piace trascrivere .  

L’artista è sempre un bambino, è ricco finché non diventa ricco. La sete di denaro lo uccide. Più il suo conto in banca aumenta più diminuisce il suo talento. Ho conosciuto tanti poeti, straordinari per integrità e naturalezza. Alcuni sono ancora là, nella storia, giocosi e innocenti, creativi fino alla fine dei loro giorni. Vanno considerati alla stessa stregua dei santi e dei geni dell’umanità. Ma gran parte di loro li ho visti spegnersi quando hanno cominciato a smaniare per il successo. I soldi, spesso così tanti da non poter essere tutti spesi e goduti, trasformano un artista in un idiota che crede di essere ormai un vate, un messaggero di valori tanto altisonanti quanto insinceri e patetici. Non c’è essere umano più corrotto di un artista che si vende l’anima.
L’arte, per definizione, è purezza. Il candore ha un prezzo, e l’artista lo paga fino in fondo. Per lui un’invenzione poetica è un gesto che regala al mondo senza contropartite. Quando non è più generoso diventa un servo. L’artista autentico non cerca i grandi numeri, ne vuole pochi, che poi diventano tanti al di là della sua volontà.
Ma, se ancor prima di pensare ad esprimere il proprio talento, calcola quanto può ricavarci, vuol dire che ha rinunciato a se stesso, si trasforma in un commerciante, volgare perché monetizza l’arte, un dono di Dio.
Il risultato finale è che l’artista venduto diventa una caricatura, un cialtrone che pensa solo a riempirsi le tasche e scredita l’arte. È un piazzista. Finisce cioè per disperdere le sue qualità al solo scopo di rimpinguare il conto in banca.
Per fortuna ci sono artisti che sono rimasti tali fino all’ultimo giorno della loro vita.
Gli affaristi sono destinati a morire senza lasciar traccia.

Ecco, in questo articolo ci sono dei passaggi che mi hanno fatto venire in mente quegli stupidi e ignobili calciatori, esseri privilegiati  e fortunatissimi, che campano beati giocando a calcio, ma non essendo abbastanza sazi dei molti soldi che guadagnano, si macchiano di truffe infami truccando delle partite di calcio per avere ancora altri soldi. Questo significa non avere il minimo rispetto per tutti quei tifosi che se ne stanno seduti allo stadio o incollati davanti alla tv con il cuore in mano a tifare per la propria squadra, dopo aver speso parte del loro magro stipendio. Questo è il lato marcio e schifoso del calcio.

Ma in questo pezzo ci sono anche dei passaggi che mi fanno pensare che vale ancora la pena credere nella bellezza del calcio, che a volte riesce a trasmettere delle emozioni indimenticabili. Quando,infatti, Cerami scrive che “l’artista è sempre un bambino”, e che “alcuni artisti sono ancora là nella storia, giocosi e innocenti, creativi fino alla fine dei propri giorni”, ho pensato a quello che scrive un grande artista-bambino del calcio nel suo libro, uscito di recente[1]. Del Piero racconta che da bambino, dopo aver finito di giocare a calcio, si buttava  per terra sfinito e contento, guardava il cielo e abbracciava stretto stretto il suo pallone. E quel gesto da piccolo lo faceva ogni giorno: si metteva con la schiena a terra e lo sguardo rivolto al cielo. E dice anche che quella stupenda sensazione che si prova quando si sta in quella posizione non l’ha mai dimenticata. Ed è proprio vero che non l’ha dimenticata. Ricordo ancora  un suo bellissimo gol dopo una corsa incredibile, quello della semifinale del  Mondiale 2006 contro la Germania, in cui Del Piero, dopo aver segnato, si lancia in un'esultanza infinita correndo per tutto il campo a festeggiare, felice e sfinito. E poi in finale al triplice fischio che proclama l'Italia campione del mondo, ancora Del Piero che si stende sull'erba allargando le braccia, con la schiena a terra e lo sguardo al cielo, raggiante di felicità, allo stesso modo di quando era bambino. 

Perché è vero, il calcio e la vita sono pieni di sporchi affaristi, ma ogni tanto, nel calcio e nella vita, capitano artisti- bambini che rimarranno sempre “gioiosi e innocenti, creativi fino alla fine dei loro giorni.”  Ed è grazie loro che il calcio e l’arte sono e rimarranno, sempre, un’emozione unica.

Marco Adornetto




[1] Alessandro Del Piero, “Giochiamo ancora”, Mondadori 2012

giovedì 24 maggio 2012

Soli Come Cani

SOLI COME CANI



“Il Cane è la solitudine  per eccellenza. Niente esprime meglio del cane randagio il concetto di emarginato, escluso e di essere solitario. Il discorso in fondo è sui poveri cani che siamo tutti quanti noi, abbastanza avulsi dall’incontro umano, abbastanza soli e abbastanza messi da parte uno con l’altro”  Rino Gaetano

I cani randagi  rivelano negli occhi una velata malinconia, una sorta di cicatrice di chi ha vissuto sempre senza nessuno accanto. I loro occhi rappresentano tutte le loro sofferenze: privazioni, freddo, fame, sete e, soprattutto, solitudine.

Anche gli uomini soffrono la solitudine ma, a differenza dei cani, possono fare amicizia con il proprio isolamento. I cani, infatti, non hanno opportunità di svaghi per lo spirito, mentre  gli uomini possono riempire la propria solitudine leggendo, scrivendo, dipingendo, ascoltando musica, fantasticando e pensando.

Condusse vita da cani il pensatore cinico Diogene, detto appunto Il Cane, che fece a meno di tutto senza desiderare alcunché e adottò un comportamento bestialmente animale. Egli era una sorta di barbone saggio: individuò come esempi da seguire i modelli di vita naturale dei mendicanti , dei bambini e dei cani, mirando alla completa autosufficienza rispetto ai bisogni indotti dalla vita in società, ponendosi così in una situazione di eccezionalità e marginalità rispetto alla vita del cittadino integrato nella πολίς.

E soli come cani sono i protagonisti di alcuni grandi racconti e romanzi della narrativa mondiale.
Come Wakefield di Hawthorne[1], il Reietto dell’universo che, allontanandosi dal proprio ruolo e sottraendosi ai propri doveri, si precipita verso l’anonimato della folla e l’annullamento della propria individualità, perdendo il suo posto tra i vivi senza, tuttavia, essere ammesso tra i morti.
Come  l’uomo della folla di Poe[2] che non permette di essere letto dagli altri e che, non avendo il coraggio di restare solo, in modo vile s’immerge nella folla anonima con l’unico e paradossale effetto di sentirsi ancora più solo in mezzo a essa.
Come  l’anonimo e inerte studente di Perec[3] che, non desiderando più niente, si sottrae a tutti i compiti, lasciandosi portare dalla folla come un vagante perpetuo, e tenta di assumere i connotati di una sorta di eroe del nulla, per accorgersi, alla fine, di essere semplicemente una persona rimasta sola.
Come Bartleby di Melville[4], lo scrivano solitario e trasognato che non vuole più scrivere e che se ne sta seduto immobile sulla sua scrivania-eremo a guardare il muro in uno stato di atarassia, indifferente a tutte le sollecitazioni  e insondabile nel suo silenzio e nella sua inerzia totale, opponendo a tutti, come propria corazza difensiva, il suo “I would prefer not to” (Preferirei di no), con il quale si pone al di fuori della comunità, distinguendosi da tutti gli altri e provocando il fallimento della comunicazione.
Come lo strampalato e triste Artista del digiuno di Kafka[5] che continua nella sua stravagante arte del non mangiare, anche quando resta solo e dimenticato da tutti nella sua gabbia in mezzo alla paglia.
Come Watt di Beckett[6], il servo solitario dal buffo aspetto e un po’ demente che, con le sue confessioni, mostra l’assurdità e la mancanza di significato della realtà e  il tragico destino dell’uomo, ancorato a una solitudine perenne, senza possibilità di comunicare e farsi comprendere dagli altri.
Come il pigro e indolente Oblomov di Goncarov[7] che vive in una sorta d’infinito dormiveglia solitario, senza mai far niente perché è convinto che ogni attività lo possa involgarire e distrarre dalla sua concezione armonica e quieta della vita.

Solo come un cane è il protagonista dell’opera di Malerba, Il Serpente[8], proprietario di un negozio di francobolli pieno di una polvere che si ammucchia sulla solitudine del luogo in cui la gente entra di rado e per errore. Il romanzo è la storia di un uomo che mente per riempire la solitudine della propria vita e per inventarsi una vita fatta di relazioni sociali che non ha mai vissuto.

E soli come cani sono anche i personaggi del libro di Melville, Le isole incantate[9] , come la solitaria vedova Hunilla che considera il dolore qualcosa di necessario che va sopportato senza emettere neppure un lamento, e come il tiranno eremita Oberlus che, nel suo regale stato di solitudine, mostra un brutale disprezzo per tutto il resto dell’universo.

Meta ideale di tutti questi personaggi solitari potrebbero essere proprio queste Isole Incantate, luogo arido e deserto, caratterizzato  da un silenzio e da una solitudine infinita. Qui i soli esseri animati presenti sono uccelli eremiti che volano sempre da soli e tartarughe che, nella strana ostinazione di una fatica infinita, tentano di oltrepassare, con monotona lentezza e senza alcuna speranza, ostacoli rocciosi insormontabili, così come i Solitari delle opere citate tentano di superare l’ostacolo della vita attraverso la condizione della solitudine.

Marco Adornetto



                                                                                


[1] Storie di solitari americani, a cura di Gianni Celati e Daniele Benati, Rizzoli

[2] Edgar Allan Poe, Racconti, Garzanti

[3] Georges Perec, Un uomo che dorme, Quodlibet

[4] Herman Melville, Bartleby lo scrivano, traduzione di Gianni Celati, Feltrinelli

[5] Franz Kafka, Un artista del digiuno. Quattro storie, Quodlibet

[6] Samuel Beckett, Watt, SugarCo

[7] Ivan Goncarov ,Oblomov, Einaudi

[8] Luigi Malerba, Il serpente, Mondadori

[9] Herman Melville, Le isole incantate, Rizzoli


mercoledì 23 maggio 2012

Inventando Mestieri Immaginari





"Ho conosciuto un tale,un tale di Macerata,che insegnava ai coccodrilli a mangiare la marmellata.Le Marche però sono posti tranquilli:marmellata ce n'è tanta,ma niente coccodrilli. Quel tale girava per il monte e per la pianura in cerca di coccodrilli per mostrare la sua bravura.Andò a Milano, a Como,a Lucca, ad Acquapendente:tutti posti bellissimi ma coccodrilli... niente! È ancora lì che gira, un impiego non l'ha trovato: sa un bellissimo mestiere ma è sempre disoccupato".

Gianni Rodari


Ammaestratore di sirene
Raccoglitrice di stelle cadenti
Prostituta sacra
Pastore della Via Lattea
Parcheggiatore di passeggini
Mungitrice di rinoceronti
Inseguitore di ghepardi
Decoratore di paradisi e inferni
Esaminatore di diarree
Raccoglitore di farfalle metallizzate
Sollevatore di diti medi
Stampatore di sorrisi nei visi accigliati
Cuoco per ultime cene 
Spalatore di cacche di elefanti circensi
Spalmatrice di nutella
Portinaio di altre dimensioni
Miglioratore del peggio
Inventore di scuse
Trovatore di cose
Moderatore dei venti
Guardiano del sole
Guardiano della luna
Dissacratore di momenti solenni
Produttore di ironia  e sarcasmo
Inventore di sogni
Correttore di acidità
Interprete pensieri dei pesci rossi
Osservatrice di specchi
Posizionatore di ombrelloni da spiaggia
Spulciatrice di bacheche di Facebook
Stroncatore di carriere
Produttore e custode di bolle di sapone
Maestro di follia
Moralizzatore di tori e leoni
Dispensatore di ottimismo
Sollevatrice di proboscidi
Riempitore di laghi
Insinuatore di dubbi amletici
Domatore di coccinelle
Sgusciatore di lumache
Arrampicatore d'antenne d'auto
Lettrice di favole a domicilio
Spegnitore di fiammiferi
Fabbricante di nuvole
Imbianchino di arcobaleni
Riempitore di marsupi di canguri
Costruttore di castelli di sabbia
Censitore di stelle
Imbronciatore di bambini
Diffamatore dell'ignoto
Creatrice di giochi di parole pazzoidi
Venditore di bagagli culturali
Scavatore di buche della vergogna
Allevatore di chimere
Psicopompo di ornitorinchi fraudolenti
Consolatore di salici piangenti
Risvegliatore di gatte morte
Costruttore di velleitarie seghe mentali
Spacciatore d'uva per volpi basse
Pedicure per millepiedi
Generatore di "oh!-oh!-oh!" di stupore e meraviglia 
Spacciatore di adrenalina
Organizzatore di feste sottomarine
Disturbatore di silenzi riflessivi
Degustatrice di cocktail
Lanciatore di coriandoli
Indossatrice di abiti invisibili
Collaudatore di bare
Regista di film mentali
Ascoltatore di conchiglie
Pilota di voli pindarici 
Visitatore di luoghi immaginari
Schiacciatore di foruncoli
Degustatrice di lecca lecca
Alzatore di livello
Levigatore di carattere
Riempitore di bicchieri mezzi pieni o mezzi vuoti
Fabbricante di passi nella neve
Distributore a richiesta di fazzoletti causa naso gocciolante
Baby sitter di Stewie Griffin
Critico d'arte di cacche di cane
Rottamatore di facili illusioni
Pettinatore di bambole
Cuoco di brodo di giuggiole
Inventore di lauree false 
Riciclatore di regali indesiderati
Oscuratore di trasmissioni mediocri
Dipanatore del bandolo della matassa 
Indossatrice di facili costumi
Riempitore del vuoto
Acconciatore di menzogne
Potatore di alberi genealogici
Inseritore di accenti e apostrofi clandestini
Sollevatore di morale
Collaudatore di letti
Inventore di mestieri immaginari


Accostamenti Sconsiderati e Ripugnanti per questioni di ordine alfabetico: Paolo Volponi e Fabio Volo


Paolo Volponi, oltre a essere un grande scrittore, è anche una persona molto sfortunata. Avere come vicino di biblioteca Fabio Volo è veramente ripugnante. A qualcuno doveva pur capitare ma Volponi non se lo meritava. Forza e coraggio signor Volponi.






martedì 22 maggio 2012

Guida agli animali fantastici di Ermanno Cavazzoni: un favoloso bestiario comico


Recensione

Guida agli animali fantastici di Ermanno Cavazzoni: un favoloso bestiario comico



Cavazzoni racconta che l’opera più recente, Guida agli animali fantastici[1], è nata in seguito alla rivisitazione fantastica di classici e testi antichi di Plinio,Aristotele, Eliano, Luciano di Samòsata, in cui gli animali rivestono un ruolo importante. Il testo antico viene usato come punto di partenza e felice stimolo per lo scrittore emiliano. Egli realizza felici e ilari divagazioni che giocano molto sull’ antropomorfizzazione degli animali, attraverso le quali riesce a far sorridere e riflettere su certi aspetti folli e assurdi del comportamento umano.  Da queste storie antiche escono così fuori nuove narrazioni indipendenti, rese in maniera sorprendente con uno stile originale e profondamente creativo.
Guida agli animali fantastici  è una sorta di bestiario comico e meraviglioso in cui animali comuni come mucche, polli e formiche convivono serenamente con animali fantastici e inesistenti quali ippocentauri, ircocervi e manticore. L’originale e stralunato punto di vista dello scrittore emiliano fa sì che, non solo sugli animali fantastici e inesistenti ma anche su quelli reali e comuni, egli possa scatenare la sua immaginazione. Secondo Cavazzoni, infatti, tutti gli animali, per la loro impenetrabilità, sono in qualche modo fantastici . E allora lo scrittore emiliano, con le sue fantasticazioni comiche, immagina cosa vogliono dirci gli animali con i loro gesti e con i loro versi; elucubra se questi abbiano una qualche idea sulla vita e se considerino gli uomini come degli esseri superiori o come dei fessi. La scrittura ironica e stravagante e l’estro inventivo di Cavazzoni descrive tutti gli  animali, anche quelli che tradizionalmente fanno paura, come esseri buffi e strambi, catapultati quasi per caso nel pianeta terra insieme agli uomini, anch’essi visti come esseri bizzarri.
Tra gli animali comuni c’è la mucca che rumina e riflette, e che per ringraziare la natura rilascia larghe e molli cacche, che per il prato sono come un godimento alimentare. Si contrappongono poi due diversi stati d’animo nell’affrontare la vita: l’inguaribile ottimismo della cicala, il cui canto è una specie di sì ripetuto, e il catastrofismo dei  grilli con il loro cri cri, che significa che c’è crisi. L’oca, appena nata, apre gli occhi e chiama mamma la prima cosa che vede. Le scimmie sono simili a donne vanitose, si pitturano la faccia, si mettono il rossetto e provano ad arricciarsi i capelli in testa anche se non li hanno, nel tentativo, quasi sempre fallimentare, di sedurre gli uomini. I serpenti sono invece amanti del vino, bevono con enorme regolarità ed esagerazione, e, una volta ubriachi, è facile catturarli perché si dimenticano di essere velenosi e se ne stanno distesi e languidi con in faccia uno stanco e innocuo sorriso post sbronza. C’è infine il bruttissimo struzzo, uccello mal riuscito e gallinaceo troppo cresciuto. Si immagina che egli sia nato come frutto del mostruoso accoppiamento tra un passero e una cammella; mentre la cammella partorisce, il padre passero fugge subito, consapevole dello schifoso connubio. Lo struzzo, oltre a essere brutto, è anche uno degli animali più stupidi che ci sia perché pensa di non essere visto se nasconde la testa in un buco, e perché inghiotte di tutto, anche sabbia e sassi, con conseguenti problemi intestinali.
Ci sono poi gli animali inesistenti come l’onocentauro, metà asino e metà uomo, asociale e menefreghista, ateo e con la brutta abitudine di dire sempre di no; l’ircocervo, un cavallo con l’aspetto di cervo, con la barba e il pelo folto, famoso solo per la sua stupidità; il leontofono, piccolo animale la cui orina annienta il leone. Basta uno spruzzo e il leone prima si affloscia e dopo muore. Ma l’animale inesistente più affascinante e sensuale è la bellissima e inavvicinabile sirena che seduce l’uomo con il suo canto illusorio e con il suo meraviglioso petto, che però non è fatto di ghiandole mammarie ma di bolle di galleggiamento. Con le sirene non c’è salvezza: se le baci ti mangiano la bocca, se cerchi un contatto ti avvinghiano e ti portano sott’acqua.
C’è infine una terza categoria di animali fantastici, elementi non appartenenti al regno animalesco, ma che vengono equiparati in qualche modo a esso. Tra questi degni di nota sono le particelle grammaticali come i laonde e i costà, equiparati a insetti insidiosi e infidi nemici della vena creativa di poeti e scrittori, ai quali provocano sofferenze, pruriti e sensi di colpa  intralciando il pensiero, formando ragnatele senza alcun senso, inserendosi clandestinamente nelle frasi e generando una bava che rallenta il discorso; e le nuvole che galleggiano lente nell’aria in forme animali cangianti, e  sono un riassunto di tutta la zoologia fantastica.
Ma l’animale più fantastico di tutti è l’uomo che tenta di razionalizzare tutto quello che gli succede, pur sapendo di essere matto per natura. Tuttavia, nonostante i suoi limiti, l’essere umano è l’unico animale testimone del più grande spettacolo dell’universo che consiste nell’alzare  gli occhi al cielo e vedere le stelle.

Tratto da "IL SORRIDENTE E TRAGICOMICO MONDO DEI MATTI- La follia come fonte di comicità nella narrativa italiana dal secondo Novecento fino ai giorni nostri" di Marco Adornetto
















[1] Ermanno Cavazzoni, Guida agli animali fantastici, Guanda Editore, Parma 2011

lunedì 21 maggio 2012

Centuria di Giorgio Manganelli: un’ infinita immaginazione onirica e comica


RECENSIONE

Centuria di Giorgio Manganelli: un’ infinita  immaginazione  onirica e comica

Il libro[1], divertente ,comico e surreale, è costituito da cento minuscoli testi narrativi, ciascuno della precisa lunghezza di una facciata e mezza, senza titolo e con un numero progressivo da uno a cento. I cento testi, dal contenuto estroso e variegato, si configurano come dei grumi inventivi da cui possono dipanarsi storie infinite.
Nelle storie raccontate c’è sempre un’atmosfera sospesa tra l’ordinario e l’onirico, tra il visionario e il quotidiano, dove dati concreti e vertiginose allucinazioni appaiono intercambiabili[2]. Il protagonista per cento volte , con disperata ironia, ripete  la propria favola di inesistenza, tra storie impossibili e bizzarrie più o meno ordinarie, mirabilmente orchestrate dal genio creativo di Manganelli.
Molto importante in Centuria è l’elemento fantastico: s’incontrano draghi e  dinosauri, misteriose e impossibili creature non terrestri ed esseri onirici. Si tratta di  un fantastico che sconfina spesso nell’allucinazione, il cui fine è portare il lettore al disorientamento e a un sorridente smarrimento. Diverse centurie sono, in particolare,dedicate ai fantasmi, gli esseri fantastici per eccellenza. I fantasmi di Manganelli irridono il genere ghost tradizionale, dando vita a un evidente gioco parodico. Vivono, infatti, in uno stato antinomico perché da un lato sembrano accettare la tradizione, abitando in castelli in rovina difficilmente accessibili e condividendo lo spazio con animali notturni; dall’altro detestano la vita isolata e asociale, tipica dei fantasmi tradizionali, amanti della solitudine e desiderosi di spaventare gli esseri viventi[3]. I fantasmi di Manganelli, dunque, sono degli esseri buffi che perdono così la loro funzione orrifica e spaventevole. Nel  tentativo di impaurire l’uomo, infatti, fanno rumori ridicoli e scuotono le tende in modo goffo. Inoltre essi stessi soffrono degli analoghi disturbi e vizi umani, poiché appaiono come esseri abbastanza stupidi, annoiati e ansiosi, che presentano problemi di incomunicabilità. Anche i luoghi tipici del fantastico tradizionale vengono irrisi. Così il castello, tipica dimora del fantasma, è descritto come una residenza dal modesto valore artistico che include anche dei balconi in finto gotico fiorito, e un ponte deforme e pericolante.
Con l’elemento fantastico convivono in Centuria le situazioni e i personaggi più o meno ordinari, caratterizzati da stramberie varie. E’ il caso della Centuria venticinque, che racconta le peripezie di un signore completamente ubriaco, che barcolla paurosamente nel tentativo di tornare a casa, ed è colto in preda al vaneggiamento e al caos della propria mente. O dell’uomo della Centuria trentuno che se ne sta tutto il giorno senza far niente, pensando alle cose meravigliose che potrebbe fare. E non avendo relazioni sociali di alcun tipo, tratta l’arredamento della propria casa e le proprie pantofole come persone a cui dare e da cui ricevere affetto e coccole. O del signore completamente matto della Centuria [trentuno][4] che, scontento della sua esistenza, ama  auto-insultarsi per tutto il giorno. Così si scrive biglietti di insolenze e insulti, se li mette in tasca, e, quando è per strada, li estrae e li legge ad alta voce. 
Altro argomento-chiave di Centuria è quello amoroso. Amori assurdi e paradossali sconvolgono le pagine del libro. Il tema viene svolto in chiave di giocosa comicità nella Centuria cinquantasei in cui il protagonista è un signore paranoico che nella sua insipida vita si è innamorato tre volte: di una donna nuda vista in una rivista pornografica, di un’ altra donna a cui non ha mai rivolto la parola, e di una signora incontrata in un autobus alla quale dichiara il proprio amore, ottenendo un cortese rifiuto che lo rende comunque felicissimo. Molto simile, ugualmente comica, e ancora più assurda è la Centuria settanta in cui c’è un giovane uomo innamorato di tre donne che non ha mai visto: due vissute rispettivamente tre secoli e due secoli prima, e la terza che nascerà due secoli dopo la sua morte. L’amore può essere anche materno come nell’ assurda Centuria settantacinque in cui una donna partorisce una sfera e se ne prende cura come di un neonato, sentendosi una madre felice.
Situazioni paradossali e impossibili affollano il libro. E’ il caso della Centuria cinquantuno in cui si descrive la convivenza di un gruppo di inquilini con un vicino di casa che non esiste, da un lato inquilino ideale per la sua estrema discrezione, dall’altro odiato perché fonte di invidia in quanto rappresentante di un’evasiva perfezione del nulla. Nella Centuria trentadue, invece, il protagonista è una statua di gesso con dei sentimenti umani, contenta di fare il monumento e di divertirsi con i piccioni che svolazzano intorno ad essa, depositandogli addosso delle simpatiche cacche. Nella Centuria [diciannove][5] viene raccontato l’assurdo destino del primo uomo che morì: egli prende alla sprovvista i
dipendenti dell’aldilà che, non sapendo cosa farsene di lui, gli mettono a disposizione una stanza tranquilla con panorama di nuvole.
Infine c’è una Centuria, la [diciassette][6], in cui vengono raccontati i terribili e assurdi pensieri di un bambino che gioca a progettare la morte, per propria mano, del padre e della madre, mostrando una straordinaria somiglianza con Stewie Griffin, il protagonista di un divertente e recente cartone animato americano , I Griffin[7]. Stewie, infatti, allo stesso modo del protagonista del racconto di Manganelli, è un terribile piccolino con assurde e comiche fantasie omicide nei confronti della mamma, e medita di ucciderla con progetti impossibili, frutto dell’immaginazione spropositata tipica di un bambino.

Tratto da "IL SORRIDENTE E TRAGICOMICO MONDO DEI MATTI- La follia come fonte di comicità nella narrativa italiana dal secondo Novecento fino ai giorni nostri" di Marco Adornetto






[1] Giorgio Manganelli, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Rizzoli Editore, Milano 1979, e Adelphi Edizioni, Milano 1995
[2]  Mario Barenghi, Narrazione, in Giorgio Manganelli, a cura di Marco Belpoliti e Andrea Cortellessa, Editore Marcos Y Marcos (collana Riga), Milano 2006
[3] Silvia Zangrandi, La fantasticheria visionaria di Giorgio Manganelli, in Cuadernos de Filologia Italiana, 2008, vol.15, pag 181-197
[4]  Si tratta di una centuria, conservata nell’archivio Adelphi, che era stata scartata da Manganelli, e non fa quindi parte dell’elenco dei cento racconti. È stata pubblicata nell’edizione di Centuria del 1995.
[5] Si tratta di una centuria, conservata nell’archivio Adelphi, che era stata scartata da Manganelli, e non fa quindi parte dell’elenco dei cento racconti. E’ stata pubblicata nell’edizione di Centuria del 1995.

[6] Si tratta di una centuria, conservata nell’archivio Adelphi, che era stata scartata da Manganelli, e non fa quindi parte dell’elenco dei cento racconti. E’ stata pubblicata nell’edizione di Centuria del 1995  -  Anche in Hilarotragoedia c’è un breve inserto narrativo in cui la voce narrante, dietro cui si nasconde lo scrittore, fantastica di uccidere la madre.

[7] I Griffin è un cartone animato, ideato dal disegnatore Seth Mac Farlane nel 1999, che ricalca in chiave umoristica i vizi e le virtù della famiglia media americana.