mercoledì 26 dicembre 2012

Amore come il Mare







Io e la Venerelli eravamo perduti in un mare di risucchi e saliva, baci interminabili, lingue che saettavano, per me fu un corso accelerato da cui trassi esperienza e benefici tutta la vita. E premendo contro le sue epiche tette, e rimbalzando indietro, e di nuovo allacciandomi respinto ma non troppo, provai piaceri e stupori che ancora mi commuovono. Poi, alle prime luci della città, dopo un ultimo duello di papille, io la vidi di profilo, bellissima, sudata, accalorata, con un ciuffo sull'occhio e il golfino di lana che le lasciava scoperta una spalla.
- Ti amo - le dissi-
- Ma sarai scemo? - rispose lei.


Tratto da "Saltatempo" di Stefano Benni







"Quando sarò capace di amare" di Giorgio Gaber




lunedì 17 dicembre 2012

I nomi delle strade



I nomi delle strade
Le strade sono
tutte di Mazzini, di Garibaldi,
son dei papi,
di quelli che scrivono,
che dan dei comandi, che fan la guerra.
E mai che ti capiti di vedere
via di uno che faceva i berretti
via di uno che stava sotto un ciliegio
via di uno che non ha fatto niente
perché andava a spasso
sopra una cavalla.
E pensare che il mondo
è fatto di gente come me
che mangia il radicchio
alla finestra
contenta di stare, d’estate,
a piedi nudi.
[Nino Pedretti, Al vòusi, p. 19]









Via della povertà- Fabrizio De Andrè



Il Salone di bellezza in fondo al vicolo 
è affollatissimo di marinai 
prova a chiedere a uno che ore sono 
e ti risponderà "non l'ho saputo mai". 
Le cartoline dell'impiccagione 
sono in vendita a cento lire l'una 
il commissario cieco dietro la stazione 
per un indizio ti legge la sfortuna 
e le forze dell'ordine irrequiete 
cercano qualcosa che non va 
mentre io e la mia signora ci affacciamo stasera 
su via della Povertà. 

Cenerentola sembra così facile 
ogni volta che sorride ti cattura 
ricorda proprio Bette Davis 
con le mani appoggiate alla cintura. 
Arriva Romeo trafelato 
e le grida "il mio amore sei tu" 
ma qualcuno gli dice di andar via 
e di non riprovarci più 
e l'unico suono che rimane 
quando l'ambulanza se ne va 
è Cenerentola che spazza la strada 
in via della Povertà. 

Mentre l'alba sta uccidendo la luna 
e le stelle si son quasi nascoste 
la signora che legge la fortuna 
se n'è andata in compagnia dell'oste. 
Ad eccezione di Abele e di Caino 
tutti quanti sono andati a far l'amore 
aspettando che venga la pioggia 
ad annacquare la gioia ed il dolore 
e il Buon Samaritano 
sta affilando la sua pietà 
se ne andrà al Carnevale stasera 
in via della Povertà. 

I tre Re Magi sono disperati 
Gesù Bambino è diventato vecchio 
e Mister Hyde piange sconcertato 
vedendo Jeckyll che ride nello specchio. 
Ofelia è dietro la finestra 
mai nessuno le ha detto che è bella 
a soli ventidue anni 
è già una vecchia zitella 
la sua morte sarà molto romantica 
trasformandosi in oro se ne andrà 
per adesso cammina avanti e indietro 
in via della Povertà. 

Einstein travestito da ubriacone 
ha nascosto i suoi appunti in un baule 
è passato di qui un'ora fa 
diretto verso l'ultima Thule, 
sembrava così timido e impaurito 
quando ha chiesto di fermarsi un po' qui 
ma poi ha cominciato a fumare 
e a recitare l'A B C 
ed a vederlo tu non lo diresti mai 
ma era famoso qualche tempo fa 
per suonare il violino elettrico 
in via della Povertà. 

Ci si prepara per la grande festa 
c'è qualcuno che comincia ad aver sete 
il fantasma dell'opera 
si è vestito in abiti da prete 
sta ingozzando a viva forza Casanova 
per punirlo della sua sensualità 
lo ucciderà parlandogli d'amore 
dopo averlo avvelenato di pietà 
e mentre il fantasma grida 
tre ragazze si son spogliate già 
Casanova sta per essere violentato 
in via della Povertà. 

E bravo Nettuno mattacchione 
il Titanic sta affondando nell'aurora 
nelle scialuppe i posti letto sono tutti occupati 
e il capitano grida "ce ne stanno ancora", 
e Ezra Pound e Thomas Eliot 
fanno a pugni nella torre di comando 
i suonatori di calipso ridono di loro 
mentre il cielo si sta allontanando 
e affacciati alle loro finestre nel mare 
tutti pescano mimose e lillà 
e nessuno deve più preoccuparsi 
di via della Povertà. 

A mezzanotte in punto i poliziotti 
fanno il loro solito lavoro 
metton le manette intorno ai polsi 
a quelli che ne sanno più di loro, 
i prigionieri vengon trascinati 
su un calvario improvvisato lì vicino 
e il caporale Adolfo li ha avvisati 
che passeranno tutti dal camino 
e il vento ride forte 
e nessuno riuscirà a ingannare il suo destino 
in via della Povertà. 

La tua lettera l'ho avuta proprio ieri 
mi racconti tutto quel che fai 
ma non essere ridicola 
non chiedermi "come stai", 
questa gente di cui mi vai parlando 
è gente come tutti noi 
non mi sembra che siano mostri 
non mi sembra che siano eroi 
e non mandarmi ancora tue notizie 
nessuno ti risponderà 
se insisti a spedirmi le tue lettere 
da via della Povertà.

martedì 11 dicembre 2012

Inchiostro Alcolico: Un Assistente Inaffidabile di Maurizio Salabelle





                                                   L’AUTORE

Maurizio Salabelle, nato a Cagliari nel 1959, ha vissuto gran parte della sua vita in Toscana dove è morto nel 2003, a Pisa, a causa di un male incurabile.
Si tratta di uno degli autori più spiazzanti della narrativa italiana degli ultimi anni, caratterizzato da una personalità timida e schiva e da una natura discreta. E questo vale anche per i suoi romanzi e i suoi racconti, contraddistinti da un’eccezionalità e da un’originalità  non adatta  allo strombazzamento mediatico, e lontani dai riflettori della critica. Salabelle si immerge, con la caparbia ostinazione di un architetto un po’ strampalato, nella fantasticazione  e nella costruzione di macchine narrative che, con una mitezza comica fuori dal comune, colgono l’aspetto immediato della follia umana, e cercano la saggezza nella diversità  e l’assurdità del reale nell’insensatezza della vita quotidiana, provocando l’effetto di uno stupore di tipo ipnotico. La sua è una scrittura secca all’insegna dell’iperrealismo, caratterizzata  da una musicalità armoniosa e ammaliante che tende a guidare il lettore in uno stato di dolce trance in cui allucinazioni totalmente incredibili e paradossali, descritte e catalogate con precisione e competenza, diventano possibili. Così l’inconfondibile mondo di Salabelle  si perde in ricerche visionarie, intessute della stessa materia di cui sono fatti i sogni. Nel corso della sua esistenza Salabelle, oltre a Un assistente inaffidabile ha scritto altri quattro libri: Il mio unico amico (1994), Il maestro Atomi (1997), ambientato in una scuola onirica frequentata da studenti buffi e maestri maniacali, Il caso del contabile (1999) e  L’altro inquilino (2002).




                                                    UN ASSISTENTE INAFFIDABILE

Dopo alcuni fallimenti con le varie case editrici a cui spedì i suoi manoscritti, Maurizio Salabelle riuscì a far pubblicare il suo primo romanzo nel 1992 per la Bollati Boringhieri. Lo scrittore Ermanno  Cavazzoni  racconta di Salabelle, a testimonianza del carattere della sua persona e delle sue opere, che quando fu pubblicato Un assistente inaffidabile, non voleva più uscire di casa per la vergogna, e per un po’ di tempo evitò anche di passare nei pressi della libreria che esponeva il suo libro perché non sapeva che faccia fare passandoci accanto[1].
Con Un assistente inaffidabile[2]  Salabelle vinse il “Premio Giuseppe Berto Opera Prima” e il “Premio Città di Bergamo”. Il romanzo è ambientato dentro una squallida bottega di cappelli, in uno spicchio di mondo ammuffito e imbalsamato, dove uno zio lunatico, che un giorno è depresso e l’altro è allegro, e un nipote, scrittore mancato e assistente che non assiste, trascorrono la loro abulica e insensata esistenza. I due comici e ridicoli esseri hanno l’aspetto allucinato e smarrito in vaghi ricordi, e impiegano il loro tempo sonnecchiando, osservando dalla vetrina della bottega il viavai della strada e architettando strani pensieri privi di qualsiasi logica. Nel resto del loro inutile tempo lo zio si dedica alla lettura di quotidiani, stravaccato su una vecchissima poltrona, sbadigliando continuamente, sazio della lettura e nauseato dagli eventi del giorno, mentre  il nipote è intento a scrivere  improbabili e pessimi romanzi che non pubblicherà mai. Così tutto trascorre nell’inedia e nell’immobilità più totale. E anche quando l’intreccio si colora di nero a causa di un omicidio, la modalità con cui esso viene eseguito, provoca non sgomento ma una comicità esilarante: lo zio afferra goffamente il tubo di una bombola a gas e, girata la manopola,  lo infila nella bocca di un cliente tappandogli il naso; il cliente muore e il suo cadavere rimane in una posizione di “stupore mortuario”, tutto viola per il gas e stranamente imbronciato. E così anche la morte suscita ilarità.

UN INCHIOSTRO COMICO-NOIR CON EFFETTO IPNOTICO

“La mia penna biro, che aveva il tappo tutto morso e non sembrava più scrivere bene, cadeva in continuazione dalla tavola e mi faceva dire orrende bestemmie.”

“Quella mattina uscii alle sette e cinque con l’intenzione di diventare scrittore.”

“Gli scrittori sono in genere persone poco capaci che certe volte possono essere definite senza timore come degli zero assoluti. Spesso non sanno che fare della loro vita, e invece di andare  a commerciare in camicie o fare gli autisti decidono di dedicarsi alla letteratura. Dicono che il 75 per cento di costoro ami alzarsi alle undici, fumare 140 sigarette la settimana e portare per più mesi gli stessi calzoni. Alcuni non sanno salire su un autobus senza aiuto e altri hanno strane idiosincrasie come l’odio per il formaggio, l’insofferenza per i week-end e un’antipatia ingiustificata per certe marche di scendiletto. Un 7 per cento, inoltre, pare incontri difficoltà nel suonare un normalissimo campanello”

“Mio zio trascorreva le ore della giornata facendo degli sbadigli sguaiati, tossicchiando nervosamente ed emettendo rutti di crackers. Ogni tanto tendeva le orecchie per ascoltare l’acqua dei tubi, il ronzio del contatore e quello dello scaldabagno del gabinetto, come se in base al loro suono potesse prevedere il futuro.”

“Osservavo i miei vestiti, la mia faccia sudata e le mie mani contratte, e mi chiedevo con angoscia che tipo di persona fossi in realtà.”

“Guardavo le mattonelle della stanza e meditavo di scrivere su di esse, ma capivo che mai e poi mai sarei riuscito a mutarle in periodi. Le ciabatte di mio zio, abbandonate sull’impiantito e ricoperte di polvere scura, sembravano simboleggiare la mia difficoltà nel riprodurre il pavimento con le parole”

“Certe notti sogno che non fumo, che non ho mai fumato in tutta la mia vita, e al risveglio accendo subito due sigarette per compensare la mia permanenza tra i non fumatori. Ho come l’impressione di dover recuperare qualcosa.”

“Il mio datore di lavoro mi spiegò che la mia mansione di collaudatore di letti imponeva che ogni notte io dormissi su un materasso diverso e che la mattina dopo redigessi una relazione su come avevo passato il tempo del sonno. Io scrivevo relazioni inattendibili . Si trattava di brani fantasiosi che avrei potuto scrivere anche senza fare i collaudi.”

“Lo zio seguiva programmi televisivi di intrattenimento per me stupidissimi. Sullo schermo si vedevano uomini in maglione che gesticolavano eccitatissimi, proferivano improperi e sghignazzavano senza ritegno. Parlavano di quello che mangiavano, dei desideri delle loro mogli o delle ciabatte che mettevano a casa. Il presentatore sorrideva spesso tra di sé come se sottendesse cose ridicole. Si vedevano donne che all’improvviso scoppiavano in pianti inconsolabili, o che raccontavano vacuamente delle loro prime notti con il marito. Gli intervistati si dilungavano in sproloqui declamando teorie inconcludenti in un delirio senza tregua di cui non si comprendeva quasi una sillaba. Queste trasmissioni, che presentavano sempre persone banalissime e prive di un’attrattiva anche minima, erano seguite da mio zio col massimo dell’attenzione e lo tenevano col corpo paralizzato di fronte allo schermo.”

“Lo zio mi confessò il suo delitto: -Ho preso il tubo di una bombola di gas che si trovava nella stanzetta, ho girato la manopola e gliel’ho infilato in bocca tappandogli il naso. Quando ho sentito che non si dibatteva più l’ho disteso per terra- Il cadavere era piegato come un feto in una posizione che lo zio definì di stupore mortuario. Il suo viso era tutto viola per il gas e sembrava stranamente imbronciato.”






[1] Ermanno Cavazzoni, Scrivere in segreto, in La Repubblica, 22 Febbraio 2003
[2]  Maurizio Salabelle, Un assistente inaffidabile, Bollati Boringhieri Editore, Torino 1992










LA STRANA FAMIGLIA DI GIORGIO GABER


Vi presento la mia famiglia
non si trucca, non si imbroglia
è la più disgraziata d'Italia,
anche se soffriamo molto
noi facciamo un buon ascolto
siamo quelli con l'audience più alto.

I miei genitori due vecchi intronati
per mezz'ora si sono insultati
a "C'eravamo tanto amati",
dalla vergogna lo zio Evaristo
si era nascosto, povero Cristo,
lo han già segnalato a "Chi l'ha visto?".

Il Ginetto dell'Idroscalo
quando la moglie lo manda a "fanculo"
piange in diretta con Sandra Milo,
per non parlare di mio fratello
che gli han rotto l'osso del collo
ora fa il morto a "Telefono giallo".

Come ti chiami, da dove chiami,
ci son per tutti tanti premi,
pronto, pronto, pronto tanti gettoni, tanti milioni,
pronto, pronto, pronto con Berlusconi o con la RAI.

E giù in Aspromonte c'ho dei parenti,
li ho rivisti belli contenti
nello "Speciale rapimenti",

mentre a Roma c'è lo zio Renzo
che è analfabeta ma ha scritto un romanzo
è sempre lì da Maurizio Costanzo.

E la fortuna di nonna Piera
che ha ucciso l'amante con la lupara
ha preso vent'anni in "Un giorno in pretura";
mio zio che ha perso la capra in montagna
che era da anni la sua compagna
ha fatto piangere anche Castagna.

Come ti chiami, da dove chiami,
ci son per tutti tanti premi,
pronto, pronto, pronto tanti gettoni, tanti milioni,
pronto, pronto, pronto con Berlusconi o con la RAI.

E poi chi c'è? Ah già, la Tamara
un mignottone di Viale Zara
che ha dato lezioni a Giuliano Ferrara,
e alla fine c'è nonno Renato
che c'ha l'AIDS da quando è nato
ha avuto un trionfo da Mino D'Amato.

Vi ho presentato la mia famiglia
non si trucca non si imbroglia
è la più disgraziata d'Italia.
Il bel paese sorridente
dove si specula allegramente
sulle disgrazie della gente.

Come ti chiami, da dove chiami,
stiam diventando tutti scemi,
pronto, pronto, pronto stiam diventando tutti coglioni,
pronto, pronto, pronto con Berlusconi o con la RAI.





mercoledì 5 dicembre 2012

Inchiostro Alcolico: Improvvisi per macchina da scrivere di Giorgio Manganelli


L’AUTORE

Giorgio Manganelli, nato a Milano nel 1922 e morto a Roma nel 1990, oltre a essere considerato uno dei migliori scrittori italiani del  Novecento, durante la sua esistenza ha svolto varie attività culturali. E' stato insegnante di letteratura inglese nelle scuole superiori e all’Università, e  ha tradotto diversi testi letterari inglesi e americani. E' stato molto impegnato nel campo dell’editoria fondando una rivista, Grammatica,dirigendo per Einaudi la collana La ricerca letteraria, insieme a Guido Davico Bonino e Edoardo Sanguineti,  e collaborando con diverse case editrici.
Manganelli concepisce la letteratura come  assoluta finzione e menzogna integrale fine a se stessa, attività immorale e priva di sincerità, cinica e profondamente asociale, anarchica e felicemente deforme. Essa è in primo luogo un’attività ludica: è gioco, ciarla, ciancia, bubbola, fagiolata, cantafavola. In tale ottica lo scrittore viene a configurarsi come un personaggio irresponsabile che non ha messaggi da affidare all’umanità, e che manifesta tutte le caratteristiche del buffone e del fool, non avendo alcuno scopo particolare se non quello di assemblare gioiosamente le parole sulla carta.
Lo stesso Manganelli aspira a essere uno scrittore buffone e “pazzo”. Egli, attraverso una scrittura vertiginosa e estasiante, produce così una letteratura nullificante e insana, vezzosamente oscena e giocosa. E l’idea che si possa raccontare e divagare senza meta e senza avere niente da dire, imitando il discorso dei dementi, arriva come una rivoluzione nel mondo letterario italiano. In tal modo Manganelli compie una vera e propria azione di sabotaggio nei confronti delle categorie essenziali della pratica letteraria tradizionalmente intesa, contribuendo a ridicolarizzarla attraverso un’operazione di svuotamento e rovesciamento parodico.  L’arma con cui egli dissacra la letteratura tradizionale è il riso. Quella di Manganelli è, infatti, una scrittura suprema e perfetta, pervasa contemporaneamente da un’angoscia nervosa e da un’ilarità grottesca,  che libera un riso giullaresco e pazzoide. Tra le sue numerose opere, spiccano: Hilarotragoedia (1964), Sconclusione (1976), Pinocchio:un libro parallelo (1977), Centuria. Cento piccoli romanzi fiume (1979). Recentemente è stato pubblicato dalla casa editrice Adelphi  Ti ucciderò mia capitale (2011), una raccolta di scritti e racconti, inediti o usciti precedentemente solamente su giornali e riviste, curata da Salvatore Nigro.

IMPROVVISI PER MACCHINA DA SCRIVERE

Il bellissimo titolo del libro, pubblicato nel 1989, sembra voler riprodurre il ticchettio della macchina da scrivere di Manganelli nel momento in cui componeva questi bellissimi e improvvisi pezzi. Il libro raccoglie i funambolici corsivi, apparsi su vari giornali, di Giorgio Manganelli. Egli, infatti, nel corso della sua esistenza, ha lavorato per numerose testate, e con i suoi fulminanti pezzi è stato un mirabile esempio di scrittura giornalistica di elevato livello letterario. I suoi corsivi sono stati scritti tra il  1973 e il 1988  per vari quotidiani, settimanali e riviste come La Stampa, Il Corriere della Sera, Il Mondo, Epoca , L’Espresso, L’Europeo e Il Messaggero. Manganelli considera il corsivo come un genere letterario umorale, litigioso e polemico di cinquanta righe circa in cui, con tonalità ironiche e sarcastiche, prendendo spunto da minimi fatti di cronaca, trasmette al lettore i suoi sentimenti e le sue impressioni che, di volta in volta, in base all’argomento trattato, sono di protesta, disagio, stupore o divertimento. Nei suoi pezzi tratta le più svariate tematiche: arte, politica, manifestazioni culturali e pseudo-culturali, cinema, ristoranti, concorsi, pubblicità, scritte sui muri, animali di ogni tipo  e comici episodi tratti dalla quotidianità come il bizzarro desiderio in punto di morte di una ricca signora di essere seppellita a bordo della sua Ferrari con il sedile comodamente inclinato. Egli destina le sue divertenti polemiche, raggiungendo altissime punte di sarcasmo, soprattutto contro la scuola considerata come un sistema di vessazione che consiste, fin dall’adolescenza, nel prendere una creatura con gli occhi candidi e pieni di curiosità nei confronti del mondo in cui vive e frapporre tra quegli occhi una barriera di libri inutili che trattano di discipline del tutto estranee alla sua realtà. E contro la televisione, il cui miserabile scopo è, secondo Manganelli, tenere lo sciocco spettatore al guinzaglio per ore e ore, nel tentativo di farlo ridere o piangere nello stesso istante in cui altri milioni di teledipendenti ridono o piangono.  I corsivi di Manganelli, prendendo a prestito la felicissima intuizione di Pietro Citati, sono “lacrime di gioia e furori di ilarità che, attraverso una giocosa e mirabolante prosa, “distruggono le istituzioni, i costumi, le abitudini e la noia dell’esistenza quotidiana”.

UN INCHIOSTRO GHIGNANTE E MEFISTOFELICO PER FINISSIMI PALATI

“Ricordo molto bene la mia insegnante di matematica che aveva nei miei confronti una lieve,educata repulsione che, nell’insieme, mi sento di condividere. Costei aveva un modo pacato e sommesso di dirmi, senza guardarmi direttamente, - Non hai capito niente,vero?- Era vero, non capivo niente.”

“Fino all’adolescenza noi tutti siamo entusiasti seguaci delle malattie. I bambini e i giovinetti sono specialisti in grandi ed eroiche febbri, in incubi squassanti,terzane,coliche, quartane, appendiciti, mal d’orecchie,di piedi, di mani, di dita, di falangi, di unghie, di lunule. Il giovane apprendista uomo studia se stesso con sondaggi di malattia,scandagli di febbri ed eritemi.”

“Lo Stato è matto; lo Stato è potente; lo Stato ha le paturnie, ha idee insondabili, umori fantastici, svagatezze, colpi di sole, euforie, depressioni, crisi omicide, sospette generosità;oggi è loquace, domani taciturno e tetro, un giorno vuol buttarsi dalla finestra, un altro giocherella con il rasoio e guarda la gola dei sudditi.”

“Ho l’impressione che la televisione sia una persona che,argutamente travestita da macchina con pulsanti, da ordigno con valvole ed antenne, tenti di entrare in casa mia. Di questa persona diffido: la sospetto garrula, emotivamente instabile, moralmente dubbia, non immune da una punta di isterismo,alternativamente lacrimosa e ridanciana; soprattutto l’apparecchio televisivo mi pare vittima di un complesso, che definirei coazione a sedurre. Ed essere incluso in una fascinazione nazionale è deprimente.”

“Il Festival di Sanremo. Che si fabbrichi, si rappezzi un’ideologia collettiva dell’amorosità, capace di generare un linguaggio, con la sua grammatica, le sue rime, gli accenti; che questo linguaggio produca una musichetta doverosamente poverina, fatta di sette note, come quei romanzi che vantano poche centinaia di parole; tutto ciò mi pare irritante.”


“Ammetto una certa ammirazione per i gatti; isterici,psicotici,solipsisti,sopracciò e fatti-in-là,sbruffoni,taciturni e ringhiosi,non si lasciano assimilare. Intellettualmente maliziosi, sedentari come un filologo, capaci di fare nulla per una vita intera, ironici e distratti. Animale diffidente e crudele, il gatto insegue volatili e topi e zanzare. Ama i davanzali e ignora le vertigini. I cani li odiano e li temono.”

“Sebbene uomini ingegnosi e audaci l’abbiano tentato, specie scrittori, come il mite cronista di Alice, è proibito, da vivi, entrare nello specchio;esso se ne sta immobile e infecondo, come uno specchio d’acqua immota chiusa nella vera di un pozzo; indifferente, non trattiene le immagini; ma solo ne cancella la voce, ne ignora l’odore; lo specchio è il luogo del freddo, della solitudine, è la nostra fotografia pronta per il nostro documento di fantasma. Lo presenteremo all’ingresso del pozzo taciturno.”

“Quando penso alle ore trascorse a studiare chimica e fisica, che mi erano del tutto estranee, non mi interessavano e non mi interessano nulla, so di aver subito un irreparabile torto. Prendere una mente avida, sveglia o quasi, che sa quel che ama e quel che disama, e costringerla a fare tutto, Virgilio e tetraedri, monade e oligoscisti, non vuol dire che una cosa: dimezzare il suo vero e necessario apprendimento, sprecare del tempo, tempo che la vita non restituirà più. No, oggi non si va a scuola. Ci si alza tardi, si ciabatta per casa, si cerca di medicare il rancore per gli acidi che hanno corroso una lontana adolescenza.”

“Quando ci sono le elezioni politiche penso al candidato di voti uno e al candidato di voti zero. Chi sono? Perché si candidano? Quale torbida, rissosa eccitazione li ha indotti a precipitarsi nell’arena politica, in una trama di autodistruzione?Il candidato di voti uno ha una qualche selvaggia e forse pericolosa fiducia in se stesso, dispone di un carisma che ha questa particolare qualità: che agisce solo su di lui. Egli è sedotto, persuaso da se stesso. Crede a se stesso. Quando sarà nella cabina elettorale con fermezza sceglierà se stesso, un lieve sorriso sardonico sulle labbra sottili. Ma prendiamo il candidato di voti zero, che non vota neppure per se stesso. Non posso nascondere l’affetto, la tenerezza, la complicità innocente che mi lega a costui. Si è candidato per cortesia, per ingenuità, per distrazione, perché non ha saputo dir di no, forse per un effimero moto di entusiasmo per se stesso. Nel segreto della cabina elettorale sa già che nessuno al mondo, neppure per dileggio, voterà il suo nome. In un momento d’orgoglio, egli non vota se stesso. Ed ora esce dalla cabina e consegna la scheda con elegante amarezza, con coraggio,lui, il candidato di preferenze zero.”

“I cani sono animali misteriosi. Deploro la tendenza dei cani a trattare l’uomo come un essere superiore. Ho visto cani che guardavano con riverenza anche me. Esagerati. I cani hanno qualcosa dei falliti. Mi fanno pensare a quegli straordinari buffoni che fanno scene da sbellicarsi e non ridono mai. I cani sono seri, un po’ malinconici e hanno l’arte di provocare i sensi di colpa.”


“Da anni io bevo qualunque acqua minerale, eccetto una. Avete capito? Da anni una certa acqua minerale ha invaso radio, televisione, fuoriprogramma cinematografico, giornali, settimanali, riviste di filologia classica, ha occupato muri, palizzate, case in costruzione, ha corrotto ristoranti,alberghi, case di cura, cimiteri, e tutto questo all’unico scopo di essere bevuta da me. E io non la bevo.”


   







giovedì 29 novembre 2012

Un'aria spessa carica di sale e gonfia di odori: La città vecchia di Fabrizio de Andrè




1965. Gambia e Singapore proclamano la loro indipendenza, Charles de Gaulle viene eletto presidente della repubblica francese, esce il film Uccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini, l’Inter vince la coppa dei campioni, nasce il gruppo musicale dei Pink Floyd.
Nello stesso anno il venticinquenne cantautore genovese Fabrizio de Andrè incide in Viale Pola a Roma, presso i locali degli studi Dirmaphon, il suo ottavo 45 giri che, oltre  a Delitti di paese, contiene il capolavoro La città vecchia.  La copertina raffigura un trascurato ma affascinante vicoletto genovese, in cui è presente, in primo piano, un gatto nero.
Ne La città vecchia De Andrè, ispirandosi all’ omonima poesia di Umberto Saba, attraverso una musicalità piacevole e coinvolgente,  ci fa “vedere” i semplici atti di vita quotidiana di un "popolo minore", quello che passa intere giornate nelle vicinanze del porto di Genova, respirando “un’aria spessa, carica di sale e gonfia di odori”. Ci sono le prostitute e il vecchio professore che va da una di loro[1], spendendo dieci mila lire del suo stipendio per sentirsi dire "micio, bello e bamboccione”. Quattro pensionati mezzo ubriachi seduti al tavolino parlano del più e del meno, bestemmiando tra un discorso e l’altro. Non mancano i ladri e gli assassini. E infine c’è il tipo strano, “quello che ha venduto per tre mila lire sua madre a un nano.”  E tu, quando ascolterai questa canzone, le cose che hai "visto" non te le scorderai più.













Città vecchia di Umberto Saba

(da Trieste e una donna, 1910-12)

Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un'oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.

Qui tra la gente che viene che va
dall'osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l'infinito
nell'umiltà.

Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d'amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s'agita in esse, come in me, il Signore.

Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.


La città vecchia di Fabrizio de Andrè

Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi
ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi,
una bimba canta la canzone antica della donnaccia
quello che ancor non sai tu lo imparerai solo qui tra le mie braccia.

E se alla sua età le difetterà la competenza
presto affinerà le capacità con l'esperienza
dove sono andati i tempi di una volta per Giunone
quando ci voleva per fare il mestiere anche un po' di vocazione.

Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino
quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino
li troverai là, col tempo che fa, estate e inverno
a stratracannare a stramaledire le donne, il tempo ed il governo.

Loro cercan là, la felicità dentro a un bicchiere
per dimenticare d'esser stati presi per il sedere
ci sarà allegria anche in agonia col vino forte
porteran sul viso l'ombra di un sorriso tra le braccia della morte.

Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone
forse quella che sola ti può dare una lezione
quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie.
Quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie.

Tu la cercherai, tu la invocherai più di una notte
ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette
quando incasserai dilapiderai mezza pensione
diecimila lire per sentirti dire "micio bello e bamboccione".

Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
In quell'aria spessa carica di sale, gonfia di odori
lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano
quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.

Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.





[1] Nella prima versione del testo era riportata la parola “troia” che nella successiva versione censurata viene trasformata in “pubblica moglie” 

mercoledì 21 novembre 2012

L’IRONIA DI RINO GAETANO E IL SUO BAR DAL CIELO BLU







Nei difficili e complessi anni Settanta Rino Gaetano è uno di quei pochi artisti e di quei pochissimi cantautori che utilizza a piene mani e con grandi risultati l’ironia. Già nei primi tempi, quando era ancora giovanissimo e cantava al Folkstudio, nel quartiere di Trastevere, in tanti non volevano che cantasse i suoi pezzi perché sembrava che con le sue parole volesse prendere in giro tutti.
Rino Gaetano era consapevole del fatto che l’ironia è sempre stata un’arte tipica dell’Italia e degli italiani. Il disarmante e ipnotico cantautore di origini calabrese afferma infatti che “l’ironia non è solo una cosa mia, è l’arte di tutti gli italiani. Soltanto che adesso (siamo negli anni Settanta ma vale anche per oggi) l’ironia la vogliono nascondere. Sono tutti molto impegnati, molto tristi, molto macabri”. E secondo Rino Gaetano non c’è cosa peggiore di essere tristi, di essere macabri.  Perché “l’Italia è da sempre stata patria di grandi comici come Totò, come Petrolini, mentre adesso ci sono soltanto scrittori che scrivono libri tristi e impegnatissimi, cantanti che scrivono canzoni tristi, per non parlare dei film. In Italia non esistono più bei film comici”.
Rino Gaetano era uno che l’ironia la metteva in qualsiasi cosa che faceva. L’ironia era l’ingrediente fondamentale e imprescindibile della sua  musica. Le sue canzoni sono attuali ancora oggi dopo quarant'anni, e lo saranno sempre proprio perché sono ironiche, di un’ironia perfetta.
Dove la prendeva Rino Gaetano quest’ironia? Per strada e, soprattutto nei bar. Il suo bar preferito era “il bar del Barone”, in cui il cielo era sempre blu: un posto semplice frequentato da gente semplice, un luogo popolare, in cui la norma era bere birra chiara in lattina. Per Rino Gaetano quel bar era un posto meraviglioso, ed è lì che nascono le sue canzoni. Gaetano era uno che il bar lo considerava come una seconda casa, era uno che stava nel bar e sentiva le voci della gente che girava e ronzava attorno al bar come faceva lui. Nel bar trovava la giusta ispirazione, osservando gli sguardi delle persone, e ascoltando i loro dialoghi strampalati. Poi tornava a casa, prendeva il suo quaderno e si scriveva le voci che aveva sentito al bar. Si rileggeva queste frasi e cominciava ad accompagnarli con la chitarra cercando e trovando la giusta ispirazione musicale. Metteva tutto insieme, e così, con questa perfetta semplicità, nasceva la sua canzone, la canzone di Rino Gaetano. Ascoltando le sue canzoni si può immaginare il suo sorriso, a volte frivolo a volte beffardo, che coglie l’essenziale delle cose e le contraddizioni del mondo, ma anche la bellezza e la spontaneità della vita di tutti i giorni, della vita di Rino Gaetano che in fondo è  anche la nostra vita.


Marco  Adornetto











Tu Forse Non essenzialmente tu


Tu, forse non essenzialmente tu
Un'altra, ma è meglio fossi tu
Tu, forse non essenzialmente tu
Hai scavato dentro me e l'amicizia c'è
Io che ho bisogno di raccontare, io,
La necessità di vivere rimane in me

E sono ormai convinto da molte lune 
dell'inutilità irreversibile del tempo
mi sveglio alle nove e sei decisamente tu
e non si ha il tempo di vedere la mamma e si è gia nati
e minuti rincorrersi senza convivenza
mi sveglio e sei decisamente tu

Forse non essenzialmente tu
e la notte confidenzialmente blu
cercare l'anima

Tu, forse non essenzialmente tu
Un'altra, ma è meglio fossi tu

E vado dal Barone ma non gioco a dama
E bevo birra chiara in lattina
Testo trovato su http://www.testitradotti.it
 
Me ne frego e non penso a te
Avrei sempre bisogno di un passaggio
Ma conosco le coincidenze del 60 notturno
Lo prendo sempre per venir da te

Forse non essenzialmente tu
e la notte confidenzialmente blu
cercare l'anima