Io e la
Venerelli eravamo perduti in un mare di risucchi e saliva, baci interminabili,
lingue che saettavano, per me fu un corso accelerato da cui trassi esperienza e
benefici tutta la vita. E premendo contro le sue epiche tette, e rimbalzando
indietro, e di nuovo allacciandomi respinto ma non troppo, provai piaceri e
stupori che ancora mi commuovono. Poi, alle prime luci della città,
dopo un ultimo duello di papille, io la vidi di profilo, bellissima,
sudata, accalorata, con un ciuffo sull'occhio e il golfino di lana che le
lasciava scoperta una spalla.
Le strade sono
tutte di Mazzini, di Garibaldi,
son dei papi,
di quelli che scrivono,
che dan dei comandi, che fan la guerra.
E mai che ti capiti di vedere
via di uno che faceva i berretti
via di uno che stava sotto un ciliegio
via di uno che non ha fatto niente
perché andava a spasso
sopra una cavalla.
E pensare che il mondo
è fatto di gente come me
che mangia il radicchio
alla finestra
contenta di stare, d’estate,
a piedi nudi.
[Nino Pedretti, Al vòusi, p. 19]
Via della povertà- Fabrizio De Andrè
Il Salone di bellezza in fondo al vicolo è affollatissimo di marinai prova a chiedere a uno che ore sono e ti risponderà "non l'ho saputo mai". Le cartoline dell'impiccagione sono in vendita a cento lire l'una il commissario cieco dietro la stazione per un indizio ti legge la sfortuna e le forze dell'ordine irrequiete cercano qualcosa che non va mentre io e la mia signora ci affacciamo stasera su via della Povertà.
Cenerentola sembra così facile ogni volta che sorride ti cattura ricorda proprio Bette Davis con le mani appoggiate alla cintura. Arriva Romeo trafelato e le grida "il mio amore sei tu" ma qualcuno gli dice di andar via e di non riprovarci più e l'unico suono che rimane quando l'ambulanza se ne va è Cenerentola che spazza la strada in via della Povertà.
Mentre l'alba sta uccidendo la luna e le stelle si son quasi nascoste la signora che legge la fortuna se n'è andata in compagnia dell'oste. Ad eccezione di Abele e di Caino tutti quanti sono andati a far l'amore aspettando che venga la pioggia ad annacquare la gioia ed il dolore e il Buon Samaritano sta affilando la sua pietà se ne andrà al Carnevale stasera in via della Povertà.
I tre Re Magi sono disperati Gesù Bambino è diventato vecchio e Mister Hyde piange sconcertato vedendo Jeckyll che ride nello specchio. Ofelia è dietro la finestra mai nessuno le ha detto che è bella a soli ventidue anni è già una vecchia zitella la sua morte sarà molto romantica trasformandosi in oro se ne andrà per adesso cammina avanti e indietro in via della Povertà.
Einstein travestito da ubriacone ha nascosto i suoi appunti in un baule è passato di qui un'ora fa diretto verso l'ultima Thule, sembrava così timido e impaurito quando ha chiesto di fermarsi un po' qui ma poi ha cominciato a fumare e a recitare l'A B C ed a vederlo tu non lo diresti mai ma era famoso qualche tempo fa per suonare il violino elettrico in via della Povertà.
Ci si prepara per la grande festa c'è qualcuno che comincia ad aver sete il fantasma dell'opera si è vestito in abiti da prete sta ingozzando a viva forza Casanova per punirlo della sua sensualità lo ucciderà parlandogli d'amore dopo averlo avvelenato di pietà e mentre il fantasma grida tre ragazze si son spogliate già Casanova sta per essere violentato in via della Povertà.
E bravo Nettuno mattacchione il Titanic sta affondando nell'aurora nelle scialuppe i posti letto sono tutti occupati e il capitano grida "ce ne stanno ancora", e Ezra Pound e Thomas Eliot fanno a pugni nella torre di comando i suonatori di calipso ridono di loro mentre il cielo si sta allontanando e affacciati alle loro finestre nel mare tutti pescano mimose e lillà e nessuno deve più preoccuparsi di via della Povertà.
A mezzanotte in punto i poliziotti fanno il loro solito lavoro metton le manette intorno ai polsi a quelli che ne sanno più di loro, i prigionieri vengon trascinati su un calvario improvvisato lì vicino e il caporale Adolfo li ha avvisati che passeranno tutti dal camino e il vento ride forte e nessuno riuscirà a ingannare il suo destino in via della Povertà.
La tua lettera l'ho avuta proprio ieri mi racconti tutto quel che fai ma non essere ridicola non chiedermi "come stai", questa gente di cui mi vai parlando è gente come tutti noi non mi sembra che siano mostri non mi sembra che siano eroi e non mandarmi ancora tue notizie nessuno ti risponderà se insisti a spedirmi le tue lettere da via della Povertà.
Maurizio
Salabelle, nato a Cagliari nel 1959, ha vissuto gran parte della sua vita in
Toscana dove è morto nel 2003, a Pisa, a causa di un male incurabile.
Si
tratta di uno degli autori più spiazzanti della narrativa italiana degli ultimi
anni, caratterizzato da una personalità timida e schiva e da una natura
discreta. E questo vale anche per i suoi romanzi e i suoi racconti,
contraddistinti da un’eccezionalità e da un’originalità non adatta
allo strombazzamento mediatico, e lontani dai riflettori della critica. Salabelle
si immerge, con la caparbia ostinazione di un architetto un po’ strampalato,
nella fantasticazione e nella
costruzione di macchine narrative che, con una mitezza comica fuori dal comune,
colgono l’aspetto immediato della follia umana, e cercano la saggezza nella
diversità e l’assurdità del reale
nell’insensatezza della vita quotidiana, provocando l’effetto di uno stupore di
tipo ipnotico. La sua è una scrittura secca all’insegna dell’iperrealismo, caratterizzata da una musicalità
armoniosa e ammaliante che tende a guidare il lettore in uno stato di dolce
trance in cui allucinazioni totalmente incredibili e paradossali, descritte e
catalogate con precisione e competenza, diventano possibili. Così l’inconfondibile
mondo di Salabelle si perde in ricerche
visionarie, intessute della stessa materia di cui sono fatti i sogni. Nel corso
della sua esistenza Salabelle, oltre a Un
assistente inaffidabile ha scritto altri quattro libri: Il mio unico amico (1994), Il maestro Atomi (1997), ambientato in
una scuola onirica frequentata da studenti buffi e maestri maniacali, Il caso del contabile (1999) e L’altro
inquilino (2002).
UN ASSISTENTE INAFFIDABILE
Dopo
alcuni fallimenti con le varie case editrici a cui spedì i suoi manoscritti,
Maurizio Salabelle riuscì a far pubblicare il suo primo romanzo nel 1992 per la
Bollati Boringhieri. Lo scrittore Ermanno
Cavazzoni racconta di Salabelle,
a testimonianza del carattere della sua persona e delle sue opere, che quando
fu pubblicato Un assistente inaffidabile,
non voleva più uscire di casa per la vergogna, e per un po’ di tempo evitò
anche di passare nei pressi della libreria che esponeva il suo libro perché non
sapeva che faccia fare passandoci accanto[1].
Con Un assistente inaffidabile[2]Salabelle vinse il “Premio Giuseppe
Berto Opera Prima” e il “Premio Città di Bergamo”. Il romanzo è ambientato
dentro una squallida bottega di cappelli, in uno spicchio di mondo ammuffito e
imbalsamato, dove uno zio lunatico, che un giorno è depresso e l’altro è
allegro, e un nipote, scrittore mancato e assistente che non assiste,
trascorrono la loro abulica e insensata esistenza. I due comici e ridicoli
esseri hanno l’aspetto allucinato e smarrito in vaghi ricordi, e impiegano il
loro tempo sonnecchiando, osservando dalla vetrina della bottega il viavai
della strada e architettando strani pensieri privi di qualsiasi logica. Nel
resto del loro inutile tempo lo zio si dedica alla lettura di quotidiani,
stravaccato su una vecchissima poltrona, sbadigliando continuamente, sazio
della lettura e nauseato dagli eventi del giorno, mentre il nipote è intento a scrivere improbabili e pessimi romanzi che non
pubblicherà mai. Così tutto trascorre nell’inedia e nell’immobilità più totale.
E anche quando l’intreccio si colora di nero a causa di un omicidio, la
modalità con cui esso viene eseguito, provoca non sgomento ma una comicità
esilarante: lo zio afferra goffamente il tubo di una bombola a gas e, girata la
manopola, lo infila nella bocca di un
cliente tappandogli il naso; il cliente muore e il suo cadavere rimane in una
posizione di “stupore mortuario”, tutto viola per il gas e stranamente
imbronciato. E così anche la morte suscita ilarità.
UN INCHIOSTRO
COMICO-NOIR CON EFFETTO IPNOTICO
“La mia penna
biro, che aveva il tappo tutto morso e non sembrava più scrivere bene, cadeva
in continuazione dalla tavola e mi faceva dire orrende bestemmie.”
“Quella mattina uscii alle sette e cinque con l’intenzione di diventare scrittore.”
“Gli scrittori
sono in genere persone poco capaci che certe volte possono essere definite
senza timore come degli zero assoluti. Spesso non sanno che fare della loro
vita, e invece di andare a commerciare
in camicie o fare gli autisti decidono di dedicarsi alla letteratura. Dicono
che il 75 per cento di costoro ami alzarsi alle undici, fumare 140 sigarette la
settimana e portare per più mesi gli stessi calzoni. Alcuni non sanno salire su
un autobus senza aiuto e altri hanno strane idiosincrasie come l’odio per il
formaggio, l’insofferenza per i week-end e un’antipatia ingiustificata per
certe marche di scendiletto. Un 7 per cento, inoltre, pare incontri difficoltà
nel suonare un normalissimo campanello”
“Mio zio
trascorreva le ore della giornata facendo degli sbadigli sguaiati,
tossicchiando nervosamente ed emettendo rutti di crackers. Ogni tanto tendeva
le orecchie per ascoltare l’acqua dei tubi, il ronzio del contatore e quello
dello scaldabagno del gabinetto, come se in base al loro suono potesse
prevedere il futuro.”
“Osservavo i
miei vestiti, la mia faccia sudata e le mie mani contratte, e mi chiedevo con
angoscia che tipo di persona fossi in realtà.”
“Guardavo le
mattonelle della stanza e meditavo di scrivere su di esse, ma capivo che mai e
poi mai sarei riuscito a mutarle in periodi. Le ciabatte di mio zio,
abbandonate sull’impiantito e ricoperte di polvere scura, sembravano
simboleggiare la mia difficoltà nel riprodurre il pavimento con le parole”
“Certe notti
sogno che non fumo, che non ho mai fumato in tutta la mia vita, e al risveglio
accendo subito due sigarette per compensare la mia permanenza tra i non
fumatori. Ho come l’impressione di dover recuperare qualcosa.”
“Il mio datore di
lavoro mi spiegò che la mia mansione di collaudatore di letti imponeva che ogni
notte io dormissi su un materasso diverso e che la mattina dopo redigessi una
relazione su come avevo passato il tempo del sonno. Io scrivevo relazioni
inattendibili .
Si trattava dibrani fantasiosi che avrei potuto scrivere anche senza fare i
collaudi.”
“Lo zio seguiva
programmi televisivi di intrattenimento per me stupidissimi. Sullo schermo si
vedevano uomini in maglione che gesticolavano eccitatissimi, proferivano improperi
e sghignazzavano senza ritegno. Parlavano di quello che mangiavano, dei
desideri delle loro mogli o delle ciabatte che mettevano a casa. Il
presentatore sorrideva spesso tra di sé come se sottendesse cose ridicole. Si
vedevano donne che all’improvviso scoppiavano in pianti inconsolabili, o che
raccontavano vacuamente delle loro prime notti con il marito. Gli intervistati
si dilungavano in sproloqui declamando teorie inconcludenti in un delirio senza
tregua di cui non si comprendeva quasi una sillaba. Queste trasmissioni, che
presentavano sempre persone banalissime e prive di un’attrattiva anche minima,
erano seguite da mio zio col massimo dell’attenzione e lo tenevano col corpo
paralizzato di fronte allo schermo.”
“Lo zio mi
confessò il suo delitto: -Ho preso il tubo di una bombola di gas che si trovava
nella stanzetta, ho girato la manopola e gliel’ho infilato in bocca tappandogli
il naso. Quando ho sentito che non si dibatteva più l’ho disteso per terra- Il
cadavere era piegato come un feto in una posizione che lo zio definì di stupore
mortuario. Il suo viso era tutto viola per il gas e sembrava stranamente
imbronciato.”
[1] Ermanno
Cavazzoni, Scrivere in segreto, in La
Repubblica, 22 Febbraio 2003
[2] Maurizio Salabelle, Un assistente inaffidabile, Bollati Boringhieri Editore, Torino
1992
LA STRANA FAMIGLIA DI GIORGIO GABER
Vi presento la mia famiglia non si trucca, non si imbroglia è la più disgraziata d'Italia, anche se soffriamo molto noi facciamo un buon ascolto siamo quelli con l'audience più alto.
I miei genitori due vecchi intronati per mezz'ora si sono insultati a "C'eravamo tanto amati", dalla vergogna lo zio Evaristo si era nascosto, povero Cristo, lo han già segnalato a "Chi l'ha visto?".
Il Ginetto dell'Idroscalo quando la moglie lo manda a "fanculo" piange in diretta con Sandra Milo, per non parlare di mio fratello che gli han rotto l'osso del collo ora fa il morto a "Telefono giallo".
Come ti chiami, da dove chiami, ci son per tutti tanti premi, pronto, pronto, pronto tanti gettoni, tanti milioni, pronto, pronto, pronto con Berlusconi o con la RAI.
E giù in Aspromonte c'ho dei parenti, li ho rivisti belli contenti nello "Speciale rapimenti",
mentre a Roma c'è lo zio Renzo che è analfabeta ma ha scritto un romanzo è sempre lì da Maurizio Costanzo.
E la fortuna di nonna Piera che ha ucciso l'amante con la lupara ha preso vent'anni in "Un giorno in pretura"; mio zio che ha perso la capra in montagna che era da anni la sua compagna ha fatto piangere anche Castagna.
Come ti chiami, da dove chiami, ci son per tutti tanti premi, pronto, pronto, pronto tanti gettoni, tanti milioni, pronto, pronto, pronto con Berlusconi o con la RAI.
E poi chi c'è? Ah già, la Tamara un mignottone di Viale Zara che ha dato lezioni a Giuliano Ferrara, e alla fine c'è nonno Renato che c'ha l'AIDS da quando è nato ha avuto un trionfo da Mino D'Amato.
Vi ho presentato la mia famiglia non si trucca non si imbroglia è la più disgraziata d'Italia. Il bel paese sorridente dove si specula allegramente sulle disgrazie della gente.
Come ti chiami, da dove chiami, stiam diventando tutti scemi, pronto, pronto, pronto stiam diventando tutti coglioni, pronto, pronto, pronto con Berlusconi o con la RAI.
Giorgio
Manganelli, nato a Milano nel 1922 e morto a Roma nel 1990, oltre a essere considerato uno dei migliori
scrittori italiani del Novecento,
durante la sua esistenza ha svolto varie attività culturali. E' stato insegnante
di letteratura inglese nelle scuole superiori e all’Università, e ha tradotto diversi testi letterari inglesi e
americani. E' stato molto impegnato nel campo dell’editoria fondando una
rivista, Grammatica,dirigendo per
Einaudi la collana La ricerca letteraria,
insieme a Guido Davico Bonino e Edoardo Sanguineti,e collaborando con diverse
case editrici.
Manganelli
concepisce la letteratura come assoluta
finzione e menzogna integrale fine a se stessa, attività immorale e priva di
sincerità, cinica e profondamente asociale, anarchica e felicemente deforme.
Essa è in primo luogo un’attività ludica: è gioco, ciarla, ciancia, bubbola, fagiolata, cantafavola.
In tale ottica lo scrittore viene a configurarsi come un personaggio
irresponsabile che non ha messaggi da affidare all’umanità, e che manifesta
tutte le caratteristiche del buffone e del fool,
non avendo alcuno scopo particolare se non quello di assemblare
gioiosamente le parole sulla carta.
Lo
stesso Manganelli aspira a essere uno scrittore buffone e “pazzo”. Egli,
attraverso una scrittura vertiginosa e estasiante, produce così una letteratura
nullificante e insana, vezzosamente oscena e giocosa. E l’idea che si possa
raccontare e divagare senza meta e senza avere niente da dire, imitando il
discorso dei dementi, arriva come una rivoluzione nel mondo letterario
italiano. In tal modo Manganelli compie una vera e propria azione di sabotaggio
nei confronti delle categorie essenziali della pratica letteraria
tradizionalmente intesa, contribuendo a ridicolarizzarla attraverso un’operazione di svuotamento e
rovesciamento parodico. L’arma con cui
egli dissacra la letteratura tradizionale è il riso. Quella di Manganelli è,
infatti, una scrittura suprema e perfetta, pervasa contemporaneamente da
un’angoscia nervosa e da un’ilarità grottesca, che libera un riso giullaresco e pazzoide.
Tra le sue numerose opere, spiccano: Hilarotragoedia
(1964), Sconclusione (1976), Pinocchio:un libro parallelo (1977), Centuria. Cento piccoli romanzi fiume (1979). Recentemente è stato pubblicato dalla casa editrice Adelphi Ti ucciderò mia capitale (2011), una
raccolta di scritti e racconti, inediti o usciti precedentemente solamente su
giornali e riviste, curata da Salvatore Nigro.
IMPROVVISI
PER MACCHINA DA SCRIVERE
Il bellissimo titolo
del libro, pubblicato nel 1989, sembra voler riprodurre il ticchettio della
macchina da scrivere di Manganelli nel momento in cui componeva questi
bellissimi e improvvisi pezzi. Il libro raccoglie i funambolici corsivi,
apparsi su vari giornali, di Giorgio Manganelli. Egli, infatti, nel corso della
sua esistenza, ha lavorato per numerose testate, e con i suoi fulminanti pezzi è stato un mirabile esempio di scrittura giornalistica di elevato
livello letterario. I suoi corsivi sono stati scritti tra il 1973 e il 1988 per vari quotidiani, settimanali e riviste
come La Stampa, Il Corriere della Sera, Il
Mondo, Epoca , L’Espresso,L’Europeo e Il Messaggero.
Manganelli considera il corsivo come un genere letterario umorale, litigioso e
polemico di cinquanta righe circa in cui, con tonalità ironiche e sarcastiche,
prendendo spunto da minimi fatti di cronaca, trasmette al lettore i suoi
sentimenti e le sue impressioni che, di volta in volta, in base all’argomento
trattato, sono di protesta, disagio, stupore o divertimento. Nei suoi pezzi tratta le più svariate tematiche: arte, politica, manifestazioni culturali e
pseudo-culturali, cinema, ristoranti, concorsi, pubblicità, scritte sui muri,
animali di ogni tipo e comici episodi
tratti dalla quotidianità come il bizzarro desiderio in punto di morte di una
ricca signora di essere seppellita a bordo della sua Ferrari con il sedile
comodamente inclinato. Egli destina le sue divertenti polemiche, raggiungendo
altissime punte di sarcasmo, soprattutto contro la scuola considerata come un
sistema di vessazione che consiste, fin dall’adolescenza, nel prendere una
creatura con gli occhi candidi e pieni di curiosità nei confronti del mondo in
cui vive e frapporre tra quegli occhi una barriera di libri inutili che
trattano di discipline del tutto estranee alla sua realtà. E contro la
televisione, il cui miserabile scopo è, secondo Manganelli, tenere lo sciocco
spettatore al guinzaglio per ore e ore, nel tentativo di farlo ridere o
piangere nello stesso istante in cui altri milioni di teledipendenti ridono o
piangono. I corsivi di Manganelli,
prendendo a prestito la felicissima intuizione di Pietro Citati, sono “lacrime
di gioia e furori di ilarità che, attraverso una giocosa e mirabolante prosa,
“distruggono le istituzioni, i costumi, le abitudini e la noia dell’esistenza
quotidiana”.
UN
INCHIOSTRO GHIGNANTE E MEFISTOFELICO PER FINISSIMI PALATI
“Ricordo
molto bene la mia insegnante di matematica che aveva nei miei confronti una
lieve,educata repulsione che, nell’insieme, mi sento di condividere. Costei
aveva un modo pacato e sommesso di dirmi, senza guardarmi direttamente, - Non
hai capito niente,vero?- Era vero, non capivo niente.”
“Fino
all’adolescenza noi tutti siamo entusiasti seguaci delle malattie. I bambini e
i giovinetti sono specialisti in grandi ed eroiche febbri, in incubi
squassanti,terzane,coliche, quartane, appendiciti, mal d’orecchie,di piedi, di
mani, di dita, di falangi, di unghie, di lunule. Il giovane apprendista uomo
studia se stesso con sondaggi di malattia,scandagli di febbri ed eritemi.”
“Lo
Stato è matto; lo Stato è potente; lo Stato ha le paturnie, ha idee insondabili,
umori fantastici, svagatezze, colpi di sole, euforie, depressioni, crisi
omicide, sospette generosità;oggi è loquace, domani taciturno e tetro, un
giorno vuol buttarsi dalla finestra, un altro giocherella con il rasoio e
guarda la gola dei sudditi.”
“Ho
l’impressione che la televisione sia una persona che,argutamente travestita da
macchina con pulsanti, da ordigno con valvole ed antenne, tenti di entrare in
casa mia. Di questa persona diffido: la sospetto garrula, emotivamente
instabile, moralmente dubbia, non immune da una punta di
isterismo,alternativamente lacrimosa e ridanciana; soprattutto l’apparecchio
televisivo mi pare vittima di un complesso, che definirei coazione a sedurre.
Ed essere incluso in una fascinazione nazionale è deprimente.”
“Il
Festival di Sanremo. Che si fabbrichi, si rappezzi un’ideologia collettiva dell’amorosità,
capace di generare un linguaggio, con la sua grammatica, le sue rime, gli
accenti; che questo linguaggio produca una musichetta doverosamente poverina,
fatta di sette note, come quei romanzi che vantano poche centinaia di parole;
tutto ciò mi pare irritante.”
“Ammetto
una certa ammirazione per i gatti; isterici,psicotici,solipsisti,sopracciò e
fatti-in-là,sbruffoni,taciturni e ringhiosi,non si lasciano assimilare.
Intellettualmente maliziosi, sedentari come un filologo, capaci di fare nulla
per una vita intera, ironici e distratti. Animale diffidente e crudele, il
gatto insegue volatili e topi e zanzare. Ama i davanzali e ignora le vertigini.
I cani li odiano e li temono.”
“Sebbene
uomini ingegnosi e audaci l’abbiano tentato, specie scrittori, come il mite
cronista di Alice, è proibito, da vivi, entrare nello specchio;esso se ne sta
immobile e infecondo, come uno specchio d’acqua immota chiusa nella vera di un
pozzo; indifferente, non trattiene le immagini; ma solo ne cancella la voce, ne
ignora l’odore; lo specchio è il luogo del freddo, della solitudine, è la
nostra fotografia pronta per il nostro documento di fantasma. Lo presenteremo all’ingresso
del pozzo taciturno.”
“Quando
penso alle ore trascorse a studiare chimica e fisica, che mi erano del tutto
estranee, non mi interessavano e non mi interessano nulla, so di aver subito un
irreparabile torto. Prendere una mente avida, sveglia o quasi, che sa quel che
ama e quel che disama, e costringerla a fare tutto, Virgilio e tetraedri,
monade e oligoscisti, non vuol dire che una cosa: dimezzare il suo vero e
necessario apprendimento, sprecare del tempo, tempo che la vita non restituirà
più. No, oggi non si va a scuola. Ci si alza tardi, si ciabatta per casa, si
cerca di medicare il rancore per gli acidi che hanno corroso una lontana
adolescenza.”
“Quando
ci sono le elezioni politiche penso al candidato di voti uno e al candidato di
voti zero. Chi sono? Perché si candidano? Quale torbida, rissosa eccitazione li
ha indotti a precipitarsi nell’arena politica, in una trama di autodistruzione?Il
candidato di voti uno ha una qualche selvaggia e forse pericolosa fiducia in se
stesso, dispone di un carisma che ha questa particolare qualità: che agisce
solo su di lui. Egli è sedotto, persuaso da se stesso. Crede a se stesso.
Quando sarà nella cabina elettorale con fermezza sceglierà se stesso, un lieve
sorriso sardonico sulle labbra sottili. Ma prendiamo il candidato di voti zero,
che non vota neppure per se stesso. Non posso nascondere l’affetto, la tenerezza,
la complicità innocente che mi lega a costui. Si è candidato per cortesia, per
ingenuità, per distrazione, perché non ha saputo dir di no, forse per un
effimero moto di entusiasmo per se stesso. Nel segreto della cabina elettorale
sa già che nessuno al mondo, neppure per dileggio, voterà il suo nome. In un
momento d’orgoglio, egli non vota se stesso. Ed ora esce dalla cabina e
consegna la scheda con elegante amarezza, con coraggio,lui, il candidato di
preferenze zero.”
“I
cani sono animali misteriosi. Deploro la tendenza dei cani a trattare l’uomo
come un essere superiore. Ho visto cani che guardavano con riverenza anche me.
Esagerati. I cani hanno qualcosa dei falliti. Mi fanno pensare a quegli
straordinari buffoni che fanno scene da sbellicarsi e non ridono mai. I cani
sono seri, un po’ malinconici e hanno l’arte di provocare i sensi di colpa.”
“Da
anni io bevo qualunque acqua minerale, eccetto una. Avete capito? Da anni una
certa acqua minerale ha invaso radio, televisione, fuoriprogramma
cinematografico, giornali, settimanali, riviste di filologia classica, ha
occupato muri, palizzate, case in costruzione, ha corrotto ristoranti,alberghi,
case di cura, cimiteri, e tutto questo all’unico scopo di essere bevuta da me.
E io non la bevo.”
1965. Gambia e Singapore proclamano la loro
indipendenza, Charles de Gaulle viene eletto presidente della
repubblica francese, esce il film Uccellacci e uccellini di
Pier Paolo Pasolini, l’Inter vince la coppa dei campioni, nasce il gruppo musicale dei Pink Floyd.
Nello stesso anno il venticinquenne cantautore genovese Fabrizio de
Andrè incide in Viale Pola a Roma, presso i locali degli studi Dirmaphon, il suo
ottavo 45 giri che, oltre a Delitti di
paese, contiene il capolavoro La città vecchia. La copertina raffigura un
trascurato ma affascinante vicoletto genovese, in cui è presente, in primo piano, un gatto nero.
Ne La città vecchia De Andrè, ispirandosi all’ omonima
poesia di Umberto Saba, attraverso una musicalità piacevole e coinvolgente, ci fa “vedere” i semplici atti di vita quotidiana
di un "popolo minore", quello che passa intere giornate nelle vicinanze del porto
di Genova, respirando “un’aria spessa, carica di sale e gonfia di odori”. Ci
sono le prostitute e il vecchio professore che va da una di loro[1],
spendendo dieci mila lire del suo stipendio per sentirsi dire "micio, bello
e bamboccione”. Quattro pensionati mezzo ubriachi seduti al tavolino parlano del più e del meno, bestemmiando tra un discorso e l’altro. Non mancano i ladri e gli assassini. E infine c’è il tipo strano, “quello che ha venduto
per tre mila lire sua madre a un nano.” E tu, quando ascolterai questa canzone, le cose che hai "visto" non te le scorderai più.
Città vecchia di Umberto Saba
(da Trieste e una donna, 1910-12)
Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un'oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.
Qui tra la gente che viene che va
dall'osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l'infinito
nell'umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d'amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s'agita in esse, come in me, il Signore.
Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.
La città vecchia di Fabrizio de Andrè Nei
quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi
ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi,
una bimba canta la canzone antica della donnaccia
quello che ancor non sai tu lo imparerai solo qui tra le mie braccia.
E se alla sua età le difetterà la competenza
presto affinerà le capacità con l'esperienza
dove sono andati i tempi di una volta per Giunone
quando ci voleva per fare il mestiere anche un po' di vocazione.
Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino
quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino
li troverai là, col tempo che fa, estate e inverno
a stratracannare a stramaledire le donne, il tempo ed il governo.
Loro cercan là, la felicità dentro a un bicchiere
per dimenticare d'esser stati presi per il sedere
ci sarà allegria anche in agonia col vino forte
porteran sul viso l'ombra di un sorriso tra le braccia della morte.
Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone
forse quella che sola ti può dare una lezione
quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie.
Quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie. Tu la cercherai, tu la invocherai più di una
notte
ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette
quando incasserai dilapiderai mezza pensione
diecimila lire per sentirti dire "micio bello e bamboccione".
Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
In quell'aria spessa carica di sale, gonfia di odori
lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano
quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.
Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.
[1] Nella
prima versione del testo era riportata la parola “troia” che nella successiva
versione censurata viene trasformata in “pubblica moglie”
Nei difficili e
complessi anni SettantaRino Gaetano è uno di quei pochi artisti e di
quei pochissimi cantautori che utilizza a piene mani e con grandi risultati
l’ironia. Già nei primi tempi, quando era ancora giovanissimo e cantava al
Folkstudio, nel quartiere di Trastevere, in tanti non volevano che cantasse i
suoi pezzi perché sembrava che con le sue parole volesse prendere in giro
tutti.
Rino Gaetano era
consapevole del fatto che l’ironia è sempre stata un’arte tipica dell’Italia e degli italiani. Il disarmante
e ipnotico cantautore di origini calabrese afferma infatti che “l’ironia non è
solo una cosa mia, è l’arte di tutti gli italiani. Soltanto che adesso (siamo
negli anni Settanta ma vale anche per oggi) l’ironia la vogliono nascondere. Sono
tutti molto impegnati, molto tristi, molto macabri”. E secondo Rino Gaetano non c’è cosa peggiore
di essere tristi, di essere macabri. Perché
“l’Italia è da sempre stata patria di grandi comici come Totò, come Petrolini,
mentre adesso ci sono soltanto scrittori che scrivono libri tristi e
impegnatissimi, cantanti che scrivono canzoni tristi, per non parlare dei film.
In Italia non esistono più bei film comici”.
Rino Gaetano era uno
che l’ironia la metteva in qualsiasi cosa che faceva. L’ironia era
l’ingrediente fondamentale e imprescindibile della sua musica. Le sue canzoni sono attuali ancora
oggi dopo quarant'anni, e lo saranno sempre proprio perché sono ironiche, di
un’ironia perfetta.
Dove la prendeva Rino
Gaetano quest’ironia? Per strada e, soprattutto nei bar. Il suo bar preferito
era “il bar del Barone”, in cui il cielo era sempre blu: un posto semplice
frequentato da gente semplice, un luogo popolare, in cui la norma era bere
birra chiara in lattina. Per Rino Gaetano quel bar era un posto meraviglioso,
ed è lì che nascono le sue canzoni. Gaetano era uno che il bar lo considerava
come una seconda casa, era uno che stava nel bar e sentiva le voci della gente che
girava e ronzava attorno al bar come faceva lui. Nel bar trovava la giusta
ispirazione, osservando gli sguardi delle persone, e ascoltando i loro dialoghi
strampalati. Poi tornava a casa, prendeva il suo quaderno e si scriveva le voci
che aveva sentito al bar. Si rileggeva queste frasi e cominciava ad
accompagnarli con la chitarra cercando e trovando la giusta ispirazione
musicale. Metteva tutto insieme, e così, con questa perfetta semplicità, nasceva
la sua canzone, la canzone di Rino Gaetano. Ascoltando le sue canzoni si può
immaginare il suo sorriso, a volte frivolo a volte beffardo, che coglie
l’essenziale delle cose e le contraddizioni del mondo, ma anche la bellezza e la
spontaneità della vita di tutti i giorni, della vita di Rino Gaetano che in
fondo è anche la nostra vita.
Marco Adornetto
Tu Forse Non essenzialmente tu
Tu, forse non essenzialmente tu
Un'altra, ma è meglio fossi tu
Tu, forse non essenzialmente tu
Hai scavato dentro me e l'amicizia c'è
Io che ho bisogno di raccontare, io,
La necessità di vivere rimane in me
E sono ormai convinto da molte lune
dell'inutilità irreversibile del tempo
mi sveglio alle nove e sei decisamente tu
e non si ha il tempo di vedere la mamma e si è gia nati