domenica 28 aprile 2013

Gli amori delle tartarughe







Ci sono due tartarughe nel patio: maschio e femmina. Slack! Slack! I gusci sbattono uno sull’altro. E’ la stagione degli amori. Il signor Palomar, non visto, spia. Il maschio spinge la femmina di fianco, torno torno al rialzo del marciapiede. La femmina sembra resista all’attacco, o almeno oppone un’immobilità un po’ inerte. Il maschio è più piccolo e attivo; si direbbe più giovane. Prova ripetutamente a montarla, da dietro, ma il dorso del guscio di lei è in salita e lui scivola. Ora dovrebbe essere riuscito a mettersi nella posizione giusta: spinge a colpi ritmici, pausati; a ogni colpo emette un ansito, quasi un grido. La femmina sta con le zampe anteriori appiattite sul terreno, il che la porta a sollevare la parte di dietro. Il maschio annaspa con le zampe anteriori sul guscio di lei, tendendo il collo in avanti, sporgendosi a bocca aperta. Il problema con questi gusci è che non c’è modo d’afferrarsi, e del resto le zampe non fanno nessuna presa. Ora lei gli sfugge, lui la rincorre. Non che lei sia più veloce né molto decisa a scappare: lui per trattenerla le dà dei piccoli morsi a una zampa, sempre la stessa. Lei non si ribella. Il maschio, ogni volta che lei si ferma, tenta di montarla, ma lei fa un piccolo passo avanti e lui scivola e batte il membro per terra. E’ un membro abbastanza lungo, fatto a gancio, con cui si direbbe lui riesca a raggiungerla anche se lo spessore dei gusci e la positura malmessa li separano. Così non si può dire quanti di questi assalti vadano a buon fine, quanti falliscano, quanti siano solo gioco, teatro.  E’ estate, il patio è spoglio, tranne un gelsomino verde in un angolo. Il corteggiamento consiste nel fare tante volte il giro del praticello, con inseguimenti e fughe e schermaglie non delle zampe ma dei gusci, che cozzano con un ticchettio sordo. E’ tra i fusti del gelsomino che la femmina cerca d’intrufolarsi; crede – o vuol far credere – che lo fa per nascondersi; ma in realtà quello è il modo più sicuro per restare bloccata dal maschio, immobilizzata senza scampo. Ora è probabile che lui sia riuscito a introdurre il membro come si deve; ma stavolta stanno tutti e due fermi fermi, silenziosi. Quali siano le sensazioni di due tartarughe che s’accoppiano, il signor Palomar non riesce a immaginarselo. Le osserva con un’attenzione fredda, come se si trattasse di due macchine: due tartarughe elettroniche programmate per accoppiarsi. Cos’è l’eros se al posto della pelle ci sono piastre d’osso e scaglie di corno? Ma anche quello che noi chiamiamo eros non è forse un programma delle nostre macchine corporee, più complicato perché la memoria raccoglie i messaggi d’ogni cellula cutanea, d’ogni molecola dei nostri tessuti e li moltiplica combinandoli con gli impulsi trasmessi dalla vista e con quelli suscitati dall’immaginazione? La differenza sta solo nel numero dei circuiti coinvolti: dai nostri recettori partono miliardi di fili, collegati col computer dei sentimenti, dei condizionamenti, dei legami tra persona e persona… L’eros è un programma che si svolge nei grovigli elettronici della mente, ma la mente è anche pelle: pelle toccata, vista, ricordata. E le tartarughe, chiuse nel loro astuccio insensibile? La penuria di stimoli sensoriali forse le obbliga a una vita mentale concentrata, intensa, le porta a una conoscenza interiore cristallina… Forse l’eros delle tartarughe segue leggi spirituali assolute, mentre noi siamo prigionieri d’un macchinario che non sappiamo come funziona, soggetto a intasarsi, a incepparsi, a scatenarsi in automatismi senza controllo…Capiranno meglio se stesse, le tartarughe? Dopo una decina di minuti d’accoppiamento, i due gusci si staccano. Lei avanti, lui dietro, riprendono a girare intorno al prato. Adesso il maschio resta più distaccato, ogni tanto annaspa con una zampata sul guscio di lei, le si mette un po’ addosso, ma senza molta convinzione. Tornano sotto il gelsomino. Lui le morde un po’ una zampa, sempre nello stesso punto.

Tratto da Palomar di Italo Calvino, Einaudi 1983




mercoledì 3 aprile 2013

L'ultimo ballo di Charlot di Fabio Stassi: un mondo di risate e lacrime


L’ultimo ballo di Charlot è un libro sorprendente, scritto con semplicità e leggerezza da un giovane scrittore di origine siciliana.

Fabio Stassi con il suo romanzo si è inventato una bella favola, ambientata in un mondo fatto di risate e lacrime; la Morte in persona va a trovare ogni Natale un vecchio e arrugginito Charlie Chaplin che, per aver salva la vita, deve farla ridere. In questo strano patto Chaplin riesce a prolungare la propria esistenza, potendo così restare accanto al proprio figlio ancora piccolo al quale scrive, prima di morire, una lunga lettera in cui racconta i momenti più emozionanti della sua avventurosa vita.
La mia memoria è un  guardaroba così inverosimile che non so più se quello che contiene l’ho vissuto realmente oppure l’ho sognato. Non ci può essere, per me, un confine chiaro tra tutte le cose che mi sono accadute e quelle che non ho smesso di inventare solo nella mia testa.

E così comincia la storia di Charlie che, molto giovane, lascia la famiglia, comincia a girovagare per il mondo in cerca di fortuna, e per poter campare svolge attività di ogni genere: maratoneta, venditore di fiori, maggiordomo, strillone di giornali, imbalsamatore di animali, pugile e allenatore di pugili, tipografo, venditore di caramelle
Più che ai bambini vendevamo caramelle ai vecchi. Mi riempivano il negozio, in certe ore della giornata, come stormi di uccelli migratori che si posano sui rami di un albero, e mentre gli pesavo un etto o due di zuccherini, si sedevano da una parte e beccheggiavano i loro ricordi per interi pomeriggi.”

Ma tutti questi mestieri, come nel caso della breve esperienza di garzone di barbiere, si rivelano incompatibili con la sua vera natura di comico vagabondo
Il mio compito era quello di insaponare le facce della gente. Non puoi credere quanto siano diverse una dall’altra: ruvide spigolose grasse…mi veniva naturale imitarle allo specchio mentre gli massaggiavo le guance, era più forte di me. Chi aspettava il suo turno mi spiava da dietro le spalle e presto l’intera bottega scoppiava a ridere. In pochi giorni, i clienti più permalosi mi fecero cacciare”.

Stassi ripercorre gli avvenimenti romanzati dell’avventurosa vita di Charlie Chaplin, dai primi innamoramenti (“Vedrai come succede le prime volte: ti manca il fiato, la notte ti giri nel letto senza dormire e cominci a fare un mucchio di cose stupide.”), alla sua indimenticabile esperienza al circo, luogo in cui conosce Stan Laurel (“Solo uno era più bravo di me, anche se doveva farsi le ossa: un ragazzo magrolino dall’aria pasticciona, i capelli dritti e gli occhi perennemente sul punto di lacrimare. Sembrava un ballerino che danzava sulle punte lungo un confine di gesso tra realtà e sogno, con una leggerezza che non avevo riconosciuto in nessun acrobata. La sua invenzione più geniale fu farsi passare per stupido di fronte al mondo intero, come se si fosse isolato per sempre in un angolo della sua adolescenza.”)

È un Charlie Chaplin, la cui vita è come il suo modo di camminare fin da bambino, “sul bordo delle strade, un piede dopo l’altro, come un acrobata sul filo.”

Finché un giorno ecco la svolta della sua esistenza: indossa per caso un paio di calzoni sformati, un gilè e una giacca troppo stretti,due scarpe enormi e logore, una bombetta, un bastone e una cravatta a farfalla. Si agita i capelli, si incolla sotto al naso un paio di baffetti neri. È così che nasce la leggenda di Charlot, “il clown vagabondo, il buffone irriverente, il bambino capriccioso che fa le boccacce e ha le mani sporche.” 

Nasce con Charlot una comicità spontanea che riempie gli occhi di risate e lacrime
“Il trucco è sempre lo stesso: fare in modo che il mondo appaia rovesciato, sottosopra. La comicità è una capriola che irride i ricchi, rimette le cose a posto e ripara le ingiustizie. Chiude le porte ai prepotenti e le fa aprire ai deboli e agli indifesi, anche solo per il lampo di un sorriso. È quest’incredulità che ci riempie gli occhi di lacrime. Suscitare il riso e le lacrime è stata la mia infantile protesta contro la miseria, la malattia e il disprezzo, il mio rifiuto dell’odio e di tutte le forme sbagliate che finiscono per governare le relazioni umane. È stupefacente a pensarci quanto sia facile a contagiarsi l’allegria e quanto triste e malato sia invece il mondo.”.

Perché, come dice Charlot, un giorno senza sorriso è un giorno perso.