giovedì 24 maggio 2012

Soli Come Cani

SOLI COME CANI



“Il Cane è la solitudine  per eccellenza. Niente esprime meglio del cane randagio il concetto di emarginato, escluso e di essere solitario. Il discorso in fondo è sui poveri cani che siamo tutti quanti noi, abbastanza avulsi dall’incontro umano, abbastanza soli e abbastanza messi da parte uno con l’altro”  Rino Gaetano

I cani randagi  rivelano negli occhi una velata malinconia, una sorta di cicatrice di chi ha vissuto sempre senza nessuno accanto. I loro occhi rappresentano tutte le loro sofferenze: privazioni, freddo, fame, sete e, soprattutto, solitudine.

Anche gli uomini soffrono la solitudine ma, a differenza dei cani, possono fare amicizia con il proprio isolamento. I cani, infatti, non hanno opportunità di svaghi per lo spirito, mentre  gli uomini possono riempire la propria solitudine leggendo, scrivendo, dipingendo, ascoltando musica, fantasticando e pensando.

Condusse vita da cani il pensatore cinico Diogene, detto appunto Il Cane, che fece a meno di tutto senza desiderare alcunché e adottò un comportamento bestialmente animale. Egli era una sorta di barbone saggio: individuò come esempi da seguire i modelli di vita naturale dei mendicanti , dei bambini e dei cani, mirando alla completa autosufficienza rispetto ai bisogni indotti dalla vita in società, ponendosi così in una situazione di eccezionalità e marginalità rispetto alla vita del cittadino integrato nella πολίς.

E soli come cani sono i protagonisti di alcuni grandi racconti e romanzi della narrativa mondiale.
Come Wakefield di Hawthorne[1], il Reietto dell’universo che, allontanandosi dal proprio ruolo e sottraendosi ai propri doveri, si precipita verso l’anonimato della folla e l’annullamento della propria individualità, perdendo il suo posto tra i vivi senza, tuttavia, essere ammesso tra i morti.
Come  l’uomo della folla di Poe[2] che non permette di essere letto dagli altri e che, non avendo il coraggio di restare solo, in modo vile s’immerge nella folla anonima con l’unico e paradossale effetto di sentirsi ancora più solo in mezzo a essa.
Come  l’anonimo e inerte studente di Perec[3] che, non desiderando più niente, si sottrae a tutti i compiti, lasciandosi portare dalla folla come un vagante perpetuo, e tenta di assumere i connotati di una sorta di eroe del nulla, per accorgersi, alla fine, di essere semplicemente una persona rimasta sola.
Come Bartleby di Melville[4], lo scrivano solitario e trasognato che non vuole più scrivere e che se ne sta seduto immobile sulla sua scrivania-eremo a guardare il muro in uno stato di atarassia, indifferente a tutte le sollecitazioni  e insondabile nel suo silenzio e nella sua inerzia totale, opponendo a tutti, come propria corazza difensiva, il suo “I would prefer not to” (Preferirei di no), con il quale si pone al di fuori della comunità, distinguendosi da tutti gli altri e provocando il fallimento della comunicazione.
Come lo strampalato e triste Artista del digiuno di Kafka[5] che continua nella sua stravagante arte del non mangiare, anche quando resta solo e dimenticato da tutti nella sua gabbia in mezzo alla paglia.
Come Watt di Beckett[6], il servo solitario dal buffo aspetto e un po’ demente che, con le sue confessioni, mostra l’assurdità e la mancanza di significato della realtà e  il tragico destino dell’uomo, ancorato a una solitudine perenne, senza possibilità di comunicare e farsi comprendere dagli altri.
Come il pigro e indolente Oblomov di Goncarov[7] che vive in una sorta d’infinito dormiveglia solitario, senza mai far niente perché è convinto che ogni attività lo possa involgarire e distrarre dalla sua concezione armonica e quieta della vita.

Solo come un cane è il protagonista dell’opera di Malerba, Il Serpente[8], proprietario di un negozio di francobolli pieno di una polvere che si ammucchia sulla solitudine del luogo in cui la gente entra di rado e per errore. Il romanzo è la storia di un uomo che mente per riempire la solitudine della propria vita e per inventarsi una vita fatta di relazioni sociali che non ha mai vissuto.

E soli come cani sono anche i personaggi del libro di Melville, Le isole incantate[9] , come la solitaria vedova Hunilla che considera il dolore qualcosa di necessario che va sopportato senza emettere neppure un lamento, e come il tiranno eremita Oberlus che, nel suo regale stato di solitudine, mostra un brutale disprezzo per tutto il resto dell’universo.

Meta ideale di tutti questi personaggi solitari potrebbero essere proprio queste Isole Incantate, luogo arido e deserto, caratterizzato  da un silenzio e da una solitudine infinita. Qui i soli esseri animati presenti sono uccelli eremiti che volano sempre da soli e tartarughe che, nella strana ostinazione di una fatica infinita, tentano di oltrepassare, con monotona lentezza e senza alcuna speranza, ostacoli rocciosi insormontabili, così come i Solitari delle opere citate tentano di superare l’ostacolo della vita attraverso la condizione della solitudine.

Marco Adornetto



                                                                                


[1] Storie di solitari americani, a cura di Gianni Celati e Daniele Benati, Rizzoli

[2] Edgar Allan Poe, Racconti, Garzanti

[3] Georges Perec, Un uomo che dorme, Quodlibet

[4] Herman Melville, Bartleby lo scrivano, traduzione di Gianni Celati, Feltrinelli

[5] Franz Kafka, Un artista del digiuno. Quattro storie, Quodlibet

[6] Samuel Beckett, Watt, SugarCo

[7] Ivan Goncarov ,Oblomov, Einaudi

[8] Luigi Malerba, Il serpente, Mondadori

[9] Herman Melville, Le isole incantate, Rizzoli


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