IL MONDO DELLA
FANTASTICAZIONE DI GIANNI CELATI
“Io ho sempre
scritto per passarmi un po’ di tempo. E questo fatto di passare un po’ il tempo
è la cosa migliore dello scrivere. Quando non so cosa fare io scrivo,e sono
contento.” Gianni
Celati
“Il bello dello
scrivere è che non sai dove stai andando e non sai dove andrai a finire. Quando
viene fuori una storia è come quando sogniamo. Scrivere è come un vento che ti
porta via.” Gianni
Celati
Gianni Celati, nato a Sondrio nel 1937,
oltre a essere uno dei maggiori narratori italiani viventi, è traduttore,
critico e saggista atipico, e documentarista. Si tratta di uno scrittore
vagabondo e malinconico dallo stile inconfondibile che non ha mai smesso di
scrivere e spostarsi. Nell’attuale panorama letterario egli ha sempre mantenuto
una posizione defilata, e non ha mai voluto adeguarsi ai diktat dell’industria
culturale e del successo di massa a tutti i costi. Celati ha infatti sviluppato
l’idea di una letteratura non industriale, non legata alle mode del momento.
I
suoi scritti sono caratterizzati da un’evidente spontaneità e immediatezza, in
cui l’elemento comico fa da sfondo a un’osservazione
disincantata e senza preconcetti del mondo e dei fenomeni della vita. Il
risultato dell’incontro di queste due idee è la semplicità. Non è un caso, del
resto, che tra il 1995 e il 1997, insieme ad altri scrittori, tra cui Ermanno
Cavazzoni, Daniele Benati e Ugo Cornia, Celati abbia dato vita a una rivista
intitolata Il Semplice[1].
Secondo Celati e il gruppo di scrittori de Il
Semplice, quando si scrive bisogna anzitutto essere semplici, perché è solo
con la semplicità che ci si avvicina al nucleo più profondo e misterioso della
vita. Scrivere “semplice” non è facile, perché richiede un atteggiamento
particolare nei confronti della scrittura e del mondo. Bisogna partire dal
presupposto che il mondo esterno è indifferente ai nostri pensieri, e chiede
semplicemente di venire descritto, raccontato, evocato, ma non di essere capito[2].
Secondo
Celati narrare significa disperdersi, far divagare la propria mente,
allontanarsi dagli schematismi e dalle convenzioni, come quando si guardano le
nuvole in cielo cercando di indovinarne la forma mutevole. In tal modo la narrazione trasporta il lettore in un altro mondo, sottraendolo al
peso della realtà. Il neologismo da lui coniato, “fantasticazione”, corrisponde al termine inglese revery, con cui si definisce l’atto del
fantasticare. Questa parola rimanda all’idea di una totale distensione e
rilassamento del corpo nell’atto della scrittura, che si compie in uno stato di
dormiveglia, come se si scrivesse sotto l’impulso di alcuni sogni. Si genera
così l’ideale di una scrittura concepita in uno stato che si avvicina alla trance e al sogno[3]. Quello di Celati è un narrare
visionario, un raccontare non per spiegare ma per provare a far emergere la
vaghezza, rendendo i lettori perplessi e stupefatti davanti allo spettacolo del
mondo. Tutta la sua prosa è disseminata di improvvise soluzioni linguistiche
che spiazzano chi legge e concorrono a far scivolare la scrittura sul terreno
del vago, della suggestione allusiva e indefinita. Il lessico celatiano,
infatti, più che indicare con precisione, allude: la parola non si propone di
descrivere la realtà in maniera esatta, quanto di accendere l’immaginazione.
Celati
è alla costante ricerca di un linguaggio sottratto ai precetti dell’italiano
letterario, che riveli un gusto per il parlato e il gergo, con uno sguardo
privilegiato alla comicità dei mimi ,dei buffoni e dei folli. La figura del
matto, soprattutto nelle sue prime prove letterarie, è una costante del suo
universo immaginativo. Le storie di Celati, infatti, sono popolate da
personaggi strambi e lunatici, goffi e assurdi, tipici della linea ariostesca
emiliana[4].
Tratto da "IL SORRIDENTE E TRAGICOMICO MONDO DEI MATTI- La follia come fonte di comicità nella narrativa italiana dal secondo Novecento fino ai giorni nostri" di Marco Adornetto
[1] Il Semplice. Almanacco delle Prose,Feltrinelli
Editore, Milano 1995-1997
[2] Mattia
Mantovani, Gianni Celati,elogio della
semplicità, in La Provincia, 20 Gennaio 2002
[3] Nunzia
Palmieri, Gianni Celati. Due o tre cose
che so di lui, in Gianni Celati, a
cura di Marco Belpoliti e Marco Sironi,
in Riga 28, 2008
[4]
La
corrente ariostesca è geograficamente attestata in Emilia e include diversi
scrittori, tra cui Delfini, Zavattini, D’Arzo, Cavazzoni e Benati. Questa
corrente lambisce anche il cinema: di essa fa parte uno dei più grandi registi
cinematografici, Federico Fellini. Gli ariosteschi prediligono gli strambi e i
lunatici, personaggi che perseguono un proprio ideale o anche soltanto una
propria fissazione mentre la vita gli scorre intorno.
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